Grillo: “Le Ngn le facciano i costruttori”

Il presidente delle commissione Trasporti e Tlc del Senato lancia la provocazione: “Il costo più elevato per le nuovi reti è per gli scavi e la posa dei cavi, si affidino i lavori alle aziende dell’edilizia”. E sul ruolo del governo dice: “Si occupi di fare i bandi per le macro-aree: infrastrutture in concessione a chi si aggiudica le gare”

Pubblicato il 09 Mag 2011

«C’è un solo modo di uscire dallo stallo: fare costruire le
nuove reti alle società di costruzione e fargliele gestire in
concessione per rientrare dagli investimenti sostenuti. Dopotutto,
l’80% del costi del broadband è costituito da scavi e dalla posa
fisica della fibra. Cosa c’entrano le telco? È un lavoro che va
fatto fare a già lo fa per mestiere. Il governo lanci dei bandi
per coprire sistemi macro-regionali»: la provocazione arriva da
Luigi Grillo, presidente della commissione
Trasporti e Tlc del Senato che, sotto la sua spinta, ha avviato una
serie di audizioni sul tema.
Senatore, c’era proprio bisogno di un’altra indagine
conoscitiva dopo la commissione Valducci, il Rapporto Caio, il
piano Romani e il successivo “tavolo” Romani?

Ce n’era bisogno. Ovviamente, non per produrre ulteriori
documenti né per ascoltare i protagonisti del settore dire cose
che ripetiamo da dieci anni. E cioè che c’è bisogno di larga
banda, che si tratta di un’infrastruttura strategica necessaria
al sistema e allo sviluppo del Paese.
E allora?
Vogliamo dare un contributo a rendere finalmente effettiva la posa
della banda larga in Italia. Dal piano Caio in poi si è detto che
occorrono miliardi di risorse pubbliche, come hanno fatto altri
Paesi. A inizio legislatura c’erano 860 milioni “nazionali”
in aggiunta a centinaia di milioni di fondi Fas. Ora è tutto
sparito ed è bene farsene una ragione: sono anni che inseguiamo
questo miraggio dei fondi pubblici.
Con pochi risultati concreti.
L’unico vero risultato concreto è che si è perso tempo
continuando a dire che il broadband era l’infrastruttura più
strategica senza però investire. Siamo tra i Paesi più indietro.
Ecco, il contributo della nostra indagine vuole essere proprio
questo: verificare se sono possibili altre strade.
Sono possibili? Risponda lei.
Dai nostri incontri sta emergendo, con una coralità abbastanza
sorprendentemente a dire il vero vista la differenza degli
interessi e dei ruoli, che le reti broadband si possono fare senza
risorse pubbliche, ma anche attraverso l’introduzione di
iniziative di project financing che consentano di puntare
finalmente realizzazione delle nuove reti in tempi ben
definiti.
Anche nelle zone di digital divide?
Lì è diverso. Ma intanto, invece di aspettare la quadra per le
zone di digital divide e non fare nulla da nessuna parte, perché
non partire portando la banda larga dove c’è un interesse
potenziale del mercato?
Le Tlc hanno i loro piani e sono titubanti a spendere
risorse dal ritorno incerto o di troppo lungo periodo.

Infatti le risorse vanno cercate anche fuori da sistema telco,
coinvolgendo prioritariamente altri capitali privati, quelli di chi
è disponibile a spendere per recuperare l’investimento dalla
gestione dell’infrastruttura.
A chi pensa?
Circa l’80% dei costi per una rete broadband viene dagli scavi,
dalla realizzazione dei cavidotti, dalla posa della fibra. Non è
lavoro da telco ma da aziende di costruzione. È l’unico modo per
uscire dallo stallo: sono due anni che lo vado ripetendo. Mi pare
che ora si cominci a capirlo.
Chi deve assumere l’iniziativa?
Il governo, cui spetta promulgare bandi pubblici per macro-regioni.
Si tratta di aprire ai privati la possibilità di realizzare le
opere, coinvolgere grandi consorzi ed imprese locali. I vincitori
avranno dallo Stato la concessione delle opere realizzate da
affittare agli operatori di rete, alla PA, a chi vuole utilizzare
la fibra. In questo modo recupereranno l’investimento
effettuato.
Avremo tante società della rete?
Più che tante, alcune: si tratta di intervenire per macro-aree.
Avremo società concessionarie che affitteranno le infrastrutture a
chi ne ha bisogno.
Come risultato, Telecom Italia non avrà più la
rete.

Ma la rete non deve essere dei privati: deve essere pubblica! Le
reti esistenti sono state tutte realizzate col contributo o dello
Stato o dei consumatori, dunque di tutti.
Ha proposto di passare le competenze sulle tlc al ministero
per le Infrastrutture.

Sostengo che devono occuparsene entrambi i ministeri: Comunicazioni
e Infrastrutture. La soluzione del problema è nella costruzione
delle infrastrutture: sono anche queste la cultura e le competenze
di cui abbiamo bisogno.
Come vede il ruolo di Cdp?
Cosa c’entra Cassa Depositi e Prestiti? Questo è un caso
classico di un’infrastruttura che può essere realizzata da
capitali privati perché la gestione della rete genera introiti
sufficienti a ripagare l’investimento. Ovviamente, le autorità
di garanzia, Agcom e Antitrust in primis, avranno il compito di
vigilare sulla correttezza delle relazioni tra i vari soggetti.
Ha avanzato la sua proposta durante le
audizioni?

Certamente. E devo dire che ho trovato grande consenso sul fatto
che le reti di Tlc di nuova generazione si possono fare col
contributo dei privati.
Quando pensate di concludere il lavoro di
indagine?

Entro maggio finiremo tutto: vogliamo accelerare.

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