LO SCONTRO PER TELECOM

Guerra Vivendi-Elliott: cosa farà Cdp?

Dopo alcuni mesi di tregua, l’autunno sembra portare ad una ripresa delle ostilità tra Vivendi ed Elliott. Ma Telecom Italia non ha certo bisogno di un nuovo scontro tra azionisti. Che ruolo giocherà Cdp nello scontro? Sullo sfondo il nodo non sciolto della rete di accesso

Pubblicato il 06 Set 2018

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Telecom Italia sembra essere sul punto di precipitare a breve in una nuova guerra fra azionisti. Si riaffaccia così all’orizzonte uno scenario “libanese” per la principale azienda telefonica italiana, proprietaria (almeno sino ad oggi) della maggiore rete di distribuzione fissa, secondo operatore mobile (dopo il sorpasso di Wind Tre), maggiore (almeno sinora) datore di lavoro nel settore, maggiore (almeno sinora) investitore delle tlc. Un settore considerato strategico, tant’è vero che a nessuno è mai venuto il dubbio (a differenza che per altre aziende che operano nelle tlc) che a Telecom Italia non dovesse essere applicato dal governo il golden power.

L’ingresso in forze di Elliott nell’azionariato della società ed il conseguente ribaltone nella governance con la maggioranza dei membri del cda passata dagli uomini espressi da Vivendi ai manager eletti nella lista del fondo americano aveva fatto sperare in una svolta che consentisse all’azienda una navigazione più tranquilla e fruttuosa.

Certo, i francesi sono rimasti col dente avvelenato per la perdita del controllo. Tuttavia, il supporto dato da Parigi all’amministratore delegato Amos Genish, eletto nella loro lista, faceva pensare che la eventuale resa dei conti sarebbe slittata a data da destinarsi. Anche perché, a ben vedere, il piano industriale passato al vaglio del cda di Telecom è più simile all’impostazione data da Vivendi che punta su contenuti e servizi digitali piuttosto che al sostanziale spezzatino immaginato in un primo tempo da Elliott. La stessa separazione societaria della rete presentata da Genish (su cui hanno certamente pesato pressioni politiche e regolatorie) è ben lontana dal prefigurare una cessione tout court del network di accesso.

Ma l’armistizio è durato poco. Mercoledì 4 settembre un duro comunicato di Vivendi annunciava la riapertura delle ostilità imputando al cda di Telecom Italia performance borsistiche “drammatiche” (-35% dal ribaltone del 4 maggio) e una governance “fallimentare”. Per di più, la diffusione di “rumors” avrebbe provocato “disfunzioni nocive al buon andamento aziendale e ai risultati della società”.

Tra i rumors, Vivendi specifica quello (non certo nuovo) che vuole imminenti le dimissioni di Genish. Una sottolineatura che suona indirettamente come la conferma del supporto a un ceo che già a inizio estate aveva avuto modo di polemizzare aspramente con alcuni membri del cda, accusati di remare contro le sue strategie gestionali.

Se Genish tace (l’unica sua mossa è stata acquistare un nutrito pacchetto di azioni Telecom quando erano precipitate ai minimi), la risposta del presidente di Telecom Fulvio Conti (scelto per la carica da Elliott) è stata immediata. Parla di accuse “assurde ed infondate”, ricorda che il piano strategico è lo stesso messo a punto durante la gestione Vivendi ed arriva ad immaginare una specie di complotto ordito “Oltralpe” per minare l’attuale assetto di governance di Telecom.

Dopo il ko del 4 settembre (con una caduta sino al 6%) le acque sembrano essersi calmate eè tornato anche qualche acquisto. Ma non è certamente tornata la calma tra gli azionisti e i venti di guerra paiono destinati a rinforzarsi nelle prossime settimane. Telecom, però, di tutto ha bisogno tranne che di conflitti fra azionisti che rischiano di risultare ulteriormente devastanti per una società già fortemente minacciata dal quadro generale.

Drastico calo delle linee fisse tradizionali, necessità di investire sull’ultrabroadband fisso in un mercato in cui si affaccia minacciosa la presenza concorrenziale di Open Fiber, aste per le gare 5G imminenti, costruzione delle nuove reti mobili, servizi tradizionali sempre meno remunerativi e necessità di trovare business model alternativi, guerra dei prezzi in accentuazione nel mobile ma anche nel fisso, quadro regolatorio europeo e nazionale che favorisce gli operatori wholesale, incertezze strategiche sul ruolo della rete di accesso, titolo sceso ai livelli minimi da 5 anni, un quadro politico che non sembra certo favorevole a Telecom, almeno sulla proprietà della rete: è uno scenario da mal di testa per chiunque.

Aggiungerci una nuova guerra fra azionisti per il controllo rischia di risultare ulteriormente devastante. E intanto, c’è da chiedersi che ruolo giocherà nel nuovo scontro Vivendi-Elliott la Cassa Depositi e Prestiti che si trova in piedi in due staffe: azionista al 50% di Open Fiber ma anche azionista al 4,9% di Telecom Italia. Partecipazione di minoranza sì ma che, pure senza scomodare Enrico Cuccia per il quale le azioni non si contavano ma si pesavano, è stata fondamentale per la vittoria di Elliott. Ma con che strategia in mente è entrata in telecom? È davvero possibile pensare a due reti ultrabroadband in competizione? E in quali aree c’è veramente mercato per due? Forse bisognerebbe partire proprio da qui. Anche per gli azionisti in guerra e soprattutto per la Cassa. Oppure rischia di essere proprio il nodo della rete a strangolare del tutto Telecom Italia.

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