“Le azioni del governo degli Stati Uniti al momento sottovalutano le nostre capacità“. Il fondatore di Huawei Ren Zhengfei prova a ridimensionare gli effetti della decisione Usa (l’inclusione di Huawei nella black list) e a catena quella di Google (che in ottemperanza all’ordine americano si avvia a revocare la licenza Android e di tutte le app affiliate) e di alcune chip company. Ren ha assicurato che la società è in grado di continuare a fornire prodotti e servizi, e che le sanzioni statunitensi non danneggeranno il core business aziendale. E anche sulla “proroga” concessa a Huawei dal governo Usa – una “licenza temporanea di 90 giorni che ripristina parzialmente i requisiti e le politiche di licenza in base ai Regolamenti di amministrazione delle esportazioni”, si legge su un documento del Dipartimento del commercio estero – Ren ha evidenziato che non è significativo in quanto Huawei sarebbe ben preparata e le sue tecnologie fondamentali sono intatte.
E il vice-president per l’Europa Abraham Liu ha annunciato che Huawei è “pronta a firmare accordi di non-spionaggio con governi e clienti in tutti gli Statui membri della Ue”. “In Huawei capiamo le preoccupazioni in merito alla sicurezza dei governi europei e siamo pronti a fare di più. Non è solo un attacco a Huawei, è un attatto all’ordine fondato sulle regole liberali”.
Gli Usa concedono licenza temporanea di 90 giorni
La licenza temporanea di 90 giorni concessa a Huawei – durata che secondo indiscrezioni potrebbe essere prorogata ulteriormente – consentirà all’azienda di acquistare prodotti e servizi americani per mantenere operativi gli smartphone in commercio, e le reti e le apparecchiature esistenti, inclusi gli aggiornamenti software e le ‘patch’ di sicurezza. La proroga invece non riguarda l’acquisto di componenti statunitensi destinati alla creazione di nuovi prodotti. La licenza temporanea si applica ai contratti stipulati con imprese Usa, prima del 16 maggio, da Huawei e dalle sue 68 affiliate che, proprio il 16 maggio scorso, sono finite nella lista nera del commercio Usa. Riguardo specificamente alla revoca delle licenze da parte di Google, Huawei avrebbe già un piano B: secondo indiscrezioni l’azienda starebbe lavorando a un proprio sistema operativo già dal 2012.
De Vecchis: “Questione geopolitica, dibattito senza fondamento”
Due le interviste sui quotidiani italiani che vedono protagonisti i top executive di Huawei. Dalle colonne del Sole 24Ore il presidente di Huawei Italia Luigi De Vecchis (che sarà ospite all’edizione 2019 di Telco per l’Italia) ha evidenziato che la questione è meramente geopolitica e che si sta assistendo “a un dibattito basato su assunti senza fondamento”. Secondo De Vecchis se anche in Europa e a seguire in Italia si generasse un effetto domino tale da escludere la società dal business l’effetto potrebbe essere quello di “un ritardo nella digitalizzazione dell’Europa e dell’Italia“. E proprio in merito a eventuali impatti sull’Italia De Vecchis dice: “Auspico che l’Italia parli con gli Usa per cercare di riportarli sulle giuste posizioni. Perché qui il problema non è tecnologico”. “Una rete di telecomunicazioni risponde a standard ben precisi. Quello che può arrivare all’esterno arriva come materiale crittografato, indecifrabile e la rete trasporta questi dati senza possibilità di controllo sul contenuto. Questo è lo stato delle cose. Per questo parlo di accuse infondate e di problema non legato alla tecnologia in cui Huawei invece, è avanzata a livello mondiale perché ha investito più e meglio degli altri”. Riguardo specificamente al caso Google e alle ripercussioni sul fronte delle vendite degli smartphone Huawei e conseguentemente degli impatti sulla forza lavoro dell’azienda De Vecchis ha puntualizzato che “con la potenza che Huawei ha sul fronte della ricerca e sviluppo la società ha tutte le carte in regola per operare. Potrebbe farsi un suo sistema operativo e prendere le contromisure adeguate. I cinesi non sono sprovveduti”.
Chen rassicura sul futuro: “Già diversificati investimenti e strategia”
Dalle colonne del Corriere della Sera è la vicepresidente di Huawei, Catherine Chen – che per la prima volta concede un’intervista a un giornale europeo – a rassicurare sul futuro dell’azienda. “Siamo un’azienda globale e abbiamo già diversificato gli investimenti e le strategie. Gli Stati Uniti dovrebbero presentare prove a sostegno delle loro accuse altrimenti si tratta di un comportamento menzognero. Credo che il loro naso stia crescendo sempre di più, ricordano Pinocchio”. Chen ci tiene a chiarire la questione delle presunte “interferenze” del governo di Pechino sull’azienda. “Questo non è vero. Huawei prende le sue scelte strategiche in modo indipendente, senza alcuna interferenza da parte del governo cinese o del Partito comunista. Secondo il diritto societario cinese tutte le società operanti in Cina devono istituire un comitato all’interno della propria organizzazione se hanno più di tre membri del partito tra propri dipendenti. Tuttavia il comitato di partito non interferisce nelle nostre operazioni quotidiane”. E riguardo ad eventuali ripercussioni sull’Europa la vice presidente “puntualizza che Huawei lavora con operatori locali da 10 o 20 anni. Hanno usato i prodotti Huawei. Le nostre soluzioni per 5G e altre tecnologie sono state sviluppate in collaborazione con le compagnie europee. Credo che prenderanno decisioni in modo indipendente”.