“Rilascio immediato e senza condizioni” di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei: questo l’appello lanciato del Global Times all’ambasciatore canadese a Pechino Dominic Barton. Appello che fa leva su una raccolta firme che in appena 12 ore avrebbe raccolto oltre 1 milione di adesioni.
A tre anni dall’arresto della manager figlia del fondatore del colosso cinese – accusata di rapporti illeciti con l’Iran attraverso una società di Hong Kong– è attesa la decisione del Canada in merito alla richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti. Decisione che dovrebbe arrivare entro il 21 ottobre.
La manager – attualmente in libertà vigilata con braccialetto elettronico – è stata arrestata il primo dicembre del 2018 all’aeroporto di Vancouver dalle autorità canadesi che agivano su mandato Usa. Secondo Washington, Huawei ha utilizzato una società di Hong Kong, Skycom, per vendere attrezzature all’Iran aggirando le sanzioni statunitensi. Gli Stati Uniti ritengono che Meng abbia commesso una frode ingannando la banca Hsbc, che ha sede nel Regno Unito, in merito ai rapporti d’affari con le società iraniane.
Gli avvocati della difesa hanno sostenuto che non ci sono prove sufficienti per giustificare l’estradizione. E la scorsa settimana il quotidiano canadese “The Globe and Mail” ha rivelato che la giudice Heather Holmes della Corte suprema della Columbia Britannica avrebbe espresso dubbi sulle accuse mosse dagli Usa. “Ho avuto grandi difficoltà a capire. Ciò che non comprendo è se il fatto di trattare col governo in Iran sarebbe da ritenere come una violazione delle sanzioni”, avrebbe detto Holmes a Robert Frater, avvocato della procura generale, chiedendo di esaminare il dossier “Report on compliance (Roc)”. A sua volta Frater avrebbe osservato che era ragionevole dedurre che alcuni affari iraniani fossero legali, poiché Meng “ammette che stanno facendo affari in Iran. Ammette che lavorano con Skycom. Non ha senso fare questa ammissione se tutte le attività in Iran sono vietate”.