“L’Italia ripone grande fiducia in Huawei”. Ren Zhengfei, fondatore e Ceo del colosso cinese delle tlc, parla dell’incontro di aprile con il premier Giuseppe Conte a Pechino per il forum sulla Belt and Road. “Un colloquio molto amichevole”, rivela alla tavola rotonda con i media italiani nel quartier generale della compagnia a Shenzhen.
Ren non manca di criticare la Golden Power (la verifica sulla sicurezza specifica sui fornitori di reti extra-Ue), la cui discussione s’è arenata al Senato, che se adottata “renderà complesso fare affari in Italia”, dove Huawei ha sostenuto forti investimenti con quote sulle reti e negli smartphone del 40-50%.
In fondo però è un problema minore per un gruppo in assetto di battaglia, alle prese con la guerra scatenata dagli Stati Uniti, parte dello scontro commerciale con Pechino, e con i rapporti da definire con l’Europa, pilastro strategico per il suo futuro.
Dall’arresto di dicembre a Vancouver di sua figlia – Meng Wanzhou, direttore finanziario del gruppo, accusata da Washington di violazioni delle sanzioni americane all’Iran – la marcia che sembrava inarrestabile di Huawei verso la leadership mondiale nelle reti di quinta generazione e negli smartphone ha subito una frenata. E il glorioso Ilyushin Il-2, colpito dalla contraerea nemica ma ancora in volo, è diventato il simbolo della società. “E’ come noi: crivellati di colpi, ma con il cuore che batte ancora. All’epoca, non sapevamo quanti fossero i buchi e quali i più gravi. Abbiamo rattoppato i maggiori”, il 70-80% dei 4.300-4.400 individuati (connessioni ottiche, core network e altro). Il target è il 93% a fine anno. Hongmeng Os, il sistema operativo made in Huawei, è per l’applicazione industriale, come la guida autonoma: l’auspicio è poter riutilizzare Android di Google.
Ingegnere di 74 anni, al servizio per 9 anni fino al 1983 del genio IT dell’Esercito di liberazione popolare, Ren è più che deciso a difendere la sua creatura, fondata nel 1987 con 5.000 dollari e diventata un colosso da oltre 100 miliardi di dollari: “Non falliremo, cresceremo addirittura in modo più forte”, scandisce. L’allentamento del bando, dopo l’iscrizione a maggio del gruppo nella lista nera del commercio Usa, è parte della tregua alla guerra sui dazi firmata dai presidenti Trump e Xi a Osaka. “Aspettiamo ancora un po’ se matura qualcosa. Siamo abituati a lavorare sotto grande pressione”.
“Gli Usa sono stati leader globali nel 3G e nel 4G. Huawei lo è nel 5G e ciò è difficile da accettare. Guidavano la tecnologia e potevano fare intelligence e raccogliere informazioni. Col 5G li abbiamo superati”, è la stoccata diretta a Washington.
Sulla trasparenza, “seguiamo gli standard da società quotate”, i bilanci sono certificati da Kpmg. Sono le accuse sulla sicurezza le più indigeste. Il governo di Pechino “ha chiarito di non aver mai chiesto alle sue compagnie di installare backdoor (porte per aggirare le difese di sistema nelle reti, ndr). Tra l’altro non abbiamo reti negli Usa, né intendiamo vendere i prodotti 5G lì. Come potremmo minacciare la sicurezza nazionale? Non dovremmo preoccuparci che Huawei sia chiamata ‘il diavolo’. Ho sempre visto Trump come un grande leader. Non un diavolo, come non lo sono io”.
Ma all’Europa, è la tesi del capo di Huawei, “non conviene legarsi al carro da guerra degli Usa perché una volta trovato l’accordo con la Cina, l’America si dimenticherà dei suoi alleati”. Ren chiede anzi all’Ue – dove si discute di 5G avendo nel mirino la legge cinese del 2017 che impone alle sue organizzazioni di sostenere e collaborare al lavoro di intelligence nazionale – di aprire il mercato alla sua compagnia. “Siamo convinti di poter fare bene la rete in Europa”, assicura il Ceo, perché con l’approccio poco “ideologico” l’Ue è “importantissima”, è un “secondo mercato domestico”. Molti operatori tlc collaborano “con noi da oltre 20 anni”, malgrado il continuo pressing degli Usa.
L’appello alla nuova Commissione Europea
Huawei si appella al futuro esecutivo comunitario perché il 5G sia il centro dell’agenda politica della nuova Commissione: servono obiettivi “più ambiziosi” sulla copertura nel territorio europeo e “un regime Ue” per garantire “standard di sicurezza comuni”. I nuovi rappresentanti delle istituzioni Ue devono “agire per garantire che l’innovazione tecnologica porti progressi a tutti”, ha detto il vicepresidente per gli Affari governativi di Huawei, Detlef Eckert, sottolineando come Bruxelles, nella sua “nuova architettura politica, deve cogliere l’opportunità strategica” offerta dal digitale “per creare un quadro che aiuti l’innovazione e un progresso inclusivo e sostenibile”. La diffusione del 5G è in cima alle sfide digitali indicate da Huawei. L’Ue, si legge nel documento, “dovrebbe fissare obiettivi più ambiziosi per un copertura completa” in tutti i Paesi membri, e “la chiave per raggiungerla è un’infrastruttura ibrida fibra-5G”. L’attenzione resta comunque tutta sulla sicurezza del 5G. Huawei accoglie “con favore” l’attuale valutazione dei rischi messa in campo dall’Ue, evidenziando che “un insieme di sistemi di certificazione di sicurezza volontari o obbligatori sarebbero una misura ragionevole” da adottare.
Negli Usa Trump incontra le big tech: sul tavolo il caso Huawei
Al vertice tenutosi ieri alla Casa Bianca sulla cinese Huawei, il presidente americano, Donald Trump, ha incontrato i Ceo di 7 aziende tecnologiche americane tra cui quelli di Google e Intel. Questi ultimi hanno chiesto “decisioni tempestive da parte del dipartimento del Commercio”, che lo scorso maggio ha inserito Huawei nella ‘lista nera’ impedendo alla Corporate America di vendere componenti a quel gruppo senza una licenza. Altre restrizioni sono state rimosse dopo la nuova tregua commerciale siglata tra Usa e Cina il 29 giugno scorso perché in quei casi specifici la sicurezza nazionale Usa non è compromessa. Come spiegato da una nota della Casa Bianca, Trump si è detto “d’accordo” con loro. L’amministrazione ha definito “costruttiva” la discussione, che ha toccato “questioni economiche, incluso il boom del mercato del lavoro americano, le ingiuste pratiche commerciali internazionali e la tecnologia 5G”.
Stando al comunicato, i Ceo hanno espresso un sostegno “forte alle politiche del presidente, incluse le restrizioni a tutela della sicurezza nazionale Usa sugli acquisti di attrezzature tlc americane e sulle vendite a Huawei“. Ad avere partecipato all’incontro sono stati i Ceo di Micron (Sanjay Mehrotra), Western Digital (Stephen Milligan), Qualcomm (Steven Mollenkopf), Google (Sundar Pichai), Cisco (Chuck Robbins), Intel (Robert Swan) e Broadcom (Hock Tan).