“Per l’ennesima volta si chiede chiedere agli Isp di fare
filtraggio di contenuti”, dice Dino Bortolotto, presidente di
Assoprovider attaccando il decreto Romani su Internet e Tv con un
comunicato in cui chiede al governo una serie di chiarimenti. Se
approvato senza modifiche, quel decreto “rischia di strozzare le
Pmi delle Tlc italiane” dicono all’associazione.
Perché il filtraggio, secondo gli Isp indipendenti, è una
missione impossibile. Per vari motivi. Intanto le direttive
europee: “Sbaglio – si chiede Bortolotto – o sul commercio
elettronico la Ue non permette controlli al trasportatore?”.
Altro elemento a sfavore, gli oneri che gli Isp dovrebbero
sostenere per dotarsi di strumenti in grado di sopprimere,
eventualmente, i contenuti considerati illeciti: “E questo
significa un centinaio di migliaio di euro, fra apparecchiature e
personale, a fronte di bilanci che non superano spesso qalche
milione di euro”. Per finire, missione impossibile per la natura
stessa di Internet. “Il filtraggio non è attuabile – dice
Bortolotto -. Per farlo, dovremmo buttare a mare il protocollo
Tcp-Ip. Se chi vuole trasmettere è d’accordo con chi vuole
ricevere, io che sto in mezzo non ho modo di evitare la loro
volontà. Trovano la strada da soli, e come minimo criptano il
traffico”. Una favola, quella del filtraggio, messa in campo per
difendere interessi delle lobby del diritto d’autore? “Ma se
anche riuscissero a mettere in carico a noi Isp l’obbligo del
filtraggio – continua Bortolotto -, ecco il risultato: gli utenti
reagirebbero per la loro strada eludendo i controlli, noi Isp
avremmo incrementato i costi e probabilmente saremmo morti, loro
non incasserebbero un euro in più. E la lotta al crimine non
verrebbe risolta”.
In tutto questo, dicono a Assoprovider, non un solo euro è
arrivato alle piccole Tlc italiane in tempi di crisi. Così come
nessuna risposta è arrivata dalla proposta di emendamento
presentata al viceministro con delega alle Comunicazioni Paolo
Romani. In quella proposta l’associazione chiede di rimodulare i
contributi amministrativi per l’esercizio dell’attività di Isp
(o di fornitore accesso a reti dati o di rete telefonica),
introdotto dalla legge Gasparri. Contribuzione che, suddivisa in
tre fasce, obbliga al pagamento di 111mila euro l’anno per tutta
l’Italia, 55mila per aree fino a 10 milioni di abitanti, 27.750
per aree fino a 200mila abitanti. “Emendamento ignorato – spiega
Bortolotto -. Eppure la comunità europea ha già detto che i
contributi amministrativi devono essere tali da consentire solo il
ritorno delle spese del ministero”. Si tratta dunque di una
“barriera economica all’ingresso. Non originata dalla
concorrenza di altre società”, ma determinata unicamente da una
tassa di Stato.