Ok alla società unica della rete e al conferimento di asset. Ma a patto che la governance sia organizzata in modo tale da garantire parità di accesso a tutti gli operatori. Maximo Ibarra, numero uno di Wind, in un’intervista al Corriere della Sera ribadisce l’endorsement dell’azienda di tlc al progetto caldeggiato dal presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini che punta alla realizzazione di una newco nazionale delle reti “aperta” a tutti gli operatori. “Siamo d’accordo a conferire degli asset” sottolinea l’Ad di Wind ma solo a condizione che “la società abbia una governance ben costruita per permettere parità di accesso a tutti gli operatori sia per il rame che per la fibra”.
Ibarra punta i riflettori anche sulla concorrenza nel mercato del fisso giudicata “del tutto assente” e lancia l’appello all’Agcom affinché intervenga per sanare la situazione. E richiama l’istruttoria aperta a giugno 2010 dall’Antitrust – su segnalazione di Wind e Fastweb – su Telecom Italia per verificare un eventuale abuso di posizione dominante. L’istruttoria si concluderà il 30 marzo 2013 a seguito della proroga (di sei mesi) concessa dalla stessa Antitrust (la scadenza precedente era il 30 settembre). Le accuse sono di aver ostacolato i concorrenti (Olo) nell’offerta di servizi alla clientela finale, sia rifiutando richieste di attivazione di servizi all’ingrosso dei concorrenti per la fornitura di servizi ai clienti finali, sia applicando sconti alla clientela business nelle aree aperte all’Unbundling Local Loop (Ull) tali da non consentire agli operatori alternativi di competere in maniera efficace.
Della questione si sono occupati anche l’Agcom e l’Organo di Vigilanza che, al contrario di quanto valutato dall’Antitrust, hanno ritenuto superati i rilievi dei concorrenti di Telecom Italia in seguito alla messa a punto di una serie di procedure mirate a rispondere alle contestazioni avanzate. In nuce c’è un conflitto di attribuzione fra i diversi organi di vigilanza.
Ibarra ritiene “eccessivo il canone da versare a Telecom” e chiede che l’Authority per le Comunicazioni intervenga per abbassare il canone di unbundling pari a 9,26 euro. “C’è qualcosa che non va – sottolinea – se la voce di costo più importante per l’azienda è quella che va a Telecom, più alta anche di quella del personale. Non è un problema di buoni o cattivi ma sarebbe un peccato per il Paese perdere la concorrenza vitale di Infostrada”.
L’Agcom però nella sua relazione trimestrale appena pubblicata puntualizza che il prezzo dell’unbundling in Italia è allineato alla media Ue dei “Big 5” (Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito) e inferiore alla media dei paesi Bulric (Belgio, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Irlanda, Italia,Romania e Svezia). Il canone risulta invece è leggermente superiore (0,24 €/mese) rispetto alla media della UE27 e dell’Europa Occidentale (media pesata sul numero di linee Ull).
Inoltre la Commissione europea si sta muovendo in direzione di un canone di unbundling fra gli 8 e i 10 euro in tutti i Paesi Ue entro il 2016 per consentire alle telco di utilizzare i ricavi a sostegno degli investimento dei nuovi network in fibra. Le implicazioni di questa norma sono enormi dato che obbligherebbe 10 stati membri ad innalzare i prezzi di unbundling visto che al momento sono inferiori alla soglia minima degli 8 euro. A questi paesi, la Commissione europea raccomanda di applicare una specifica metodologia di costo. Che qualora “entro il 31 dicembre 2016” non portasse ad un allineamento delle tariffe in conformità ai dettami comunitari, attirerebbe la “scomunica” ufficiale di Bruxelles.