A Nairobi, in Kenya, gran parte della popolazione trasferisce denaro usando il cellulare mentre Mogadiscio, capitale della disastrata Somalia che dal 1991 non ha più un governo centrale, sta diventando la prima città cashless del mondo perché quasi tutto, dal pagamento del taxi alla consumazione in un bar, si fa tramite dispositivo mobile. È l’ambiente ideale perché prenda piede il fenomeno dell’Ict4D, le nuove tecnologie impiegate in progetti umanitari o con valore economico-sociale e gestite principalmente da organizzazioni non governative (ong).
“Se ne è cominciato a parlare 4 anni fa, con l’esplosione della telefonia mobile nei Paesi in via di sviluppo (Pvs)” spiega Anahi Ayala Iacucci, consulente per l’innovazione multimediale di Banca Mondiale, Onu e varie ong. “L’Africa, con i suoi circa 500 milioni di cellulari, è terreno fertile per progetti di sviluppo innovativi: la tecnologia mobile rappresenta il 70% dei progetti Ict4D”. Grande impulso è stato dato dal sisma ad Haiti nel gennaio 2010: in quell’occasione sono nati progetti open source come Ushahidi, che permette di inviare via mobile informazioni su situazioni di crisi raccolte attraverso il crowdsourcing. Inoltre in Kenya si festeggiano i cinque anni dal lancio di Mpesa, piattaforma di mobile banking che permette a chi possiede la sim card di SafariCom, primo operatore mobile in Africa orientale (proprietà Vodafone Uk), di trasferire soldi da un telefono all’altro. In tutto il Paese sono disseminate postazioni di operatori Mpesa, presso i quali ci si rivolge per ricaricare la propria card e ottenere un codice: lo si invia al numero di telefono desiderato, il cui proprietario si reca a sua volta dal più vicino agente Mpesa, mostra un documento e riceve i contanti. È un modo per recapitare danaro dalla città in campagna e creare conti bancari personali. Secondo la Banca mondiale, Mpesa è usato dal 65% della popolazione keniana e ha generato un incremento del bilancio familiare fino al 30%. Non è propriamente una tecnologia Ict4D, ma ha aperto la strada, e le menti di abitanti e operatori locali, all’uso della telefonia mobile per finalità di crescita economica e sociale.
“In particolare l’uso degli sms offre grandi potenzialità” prosegue Iacucci. Per esempio c’è RapidSms, realizzato in collaborazione con l’Earth Institute della Colombia University e usato dall’Unicef in Malawi per verificare il livello di nutrizione dei bambini. Quando il community health worker visita i bimbi può inviare le informazioni via sms tramite codici, poi decodificati da software. RapidSms controlla i valori in base a una serie di standard e, se rileva alterazioni, manda un sms all’operatore e al sistema sanitario della zona. Utili anche le mobile apps: in Kenya un gruppo di giovani donne ha creato MFarm, che consente ai contadini di inviare a un numero di telefono il nome del proprio prodotto e del mercato su cui vogliono venderlo, per poi ricevere un messaggio di risposta. C’è anche mPedigree, applicazione realizzata in collaborazione con l’Ifc (International Finance Corporation), “braccio finanziario” della Banca mondiale: si spedisce un sms con il codice a barre di un medicinale acquistato e si ottiene un’immediata risposta, sempre via sms, sulla sua eventuale contraffazione (in Africa purtroppo circolano moltissimi medicinali fuori regola).
Quando non c’è copertura per i cellulari (e diversi territori africani non sono coperti), si utilizza il wireless mesh network (Wmn), sistema “fatto in casa” di comunicazione basato su nodi di informazione grazie al quale due telefoni possono comunicare tra loro attraverso l’uso di un software. Il raggio è piccolo, da 80 fino a poche centinaia di metri, ma possono creare più nodi. “In diverse zone del continente – dice la Iacucci – le grandi compagnie telefoniche non hanno interesse a realizzare infrastrutture perché non c’è mercato o è troppo pericoloso. Per cui preferiscono che qualcuno prima di loro rischi e investa, in modo da creare un mercato dove, un domani, potranno inserirsi senza problemi”.
“L’Africa è un grande laboratorio per le nuove tecnologie” spiega Gianluca Iazzolino, ricercatore universitario e docente di corsi sull’Ict4D presso l’ong italiana “Volontari per lo sviluppo” (Vps). “L’impatto della telefonia mobile sul trasferimento dei soldi ha cambiato le dinamiche tra i campi profughi dei somali a Dabab, in Kenya, e la capitale Nairobi. Grazie a sistemi come Mpesa i rifugiati non devono più sobbarcarsi lunghi e costosi viaggi per raggiungere la città, ma possono restare nel campo e creare piccoli business con i soldi arrivati tramite cellulare”. L’Ict sta mutando abitudini e comportamenti: “I pastori somali – conclude Iazzolino – non abbandonano mai coltello e cellulare. Prima seguivano la rotta delle mandrie, ora quella delle linee telefoniche”.