In Africa, soprattutto in Paesi come Kenya e Rwanda, da qualche anno si moltiplicano i segnali di una vera e propria rivoluzione tecnologica, ma sarebbe meglio capire se, allo stato delle cose, un cambiamento di questo tipo è economicamente e umanamente sostenibile. È l’opinione di Laura Mann, esperta di Ict e ricercatrice presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford. Secondo la Mann, che si occupa di creazione ed evoluzione dei mercati e delle catene del valore in Africa, con particolare focus sull’impatto della tecnologia nell’ambito delle economie, attualmente l’Ict in Africa è un territorio fatto di luci ed ombre.
La vertiginosa crescita nell’uso dei cellulari sta davvero provocando una sorta di rivoluzione economica?
Per certi versi sì, per altri no. È vero, i consumatori africani si sono dimostrati preziosi per l’industria delle Tlc. L’Ict ha trasformato il modo in cui il settore privato guarda al mercato africano. Analogamente il mobile banking ha fatto emergere parte dell’economia informale. L’uso delle nuove tecnologie coinvolge i membri più poveri della società all’interno del ciclo economico facendoli diventare consumatori. Tuttavia resta da capire se l’Ict trasformerà l’Africa in un centro di produzione e se questi stessi consumatori riusciranno a diventare professionisti e imprenditori.
I progetti più affermati?
Ce ne sono di ogni tipo: dal mobile banking al mobile health, dal mobile price information al mobile mapping. Sono molto popolari e alcune app sono davvero interessanti. Si sta anche sviluppando il concetto che l’imprenditoria Ict possa creare posti di lavoro. Su questo però andrei cauta: in Africa c’è una gran massa di laureati disoccupati e il livello di formazione richiesto per certe professioni sembra fuori dalla portata di molta gente.
C’è un Paese più avanzato di altri in questo settore?
Il Rwanda, uno degli Stati di cui mi occupo, si propone di diventare la “Singapore dell’Africa”, un hub Ict nel centro del continente. Il presidente Paul Kagame ha integrato l’Ict nel cuore del suo piano economico chiamato “Vision 2020”. Al momento il settore sta cominciando a svilupparsi: è stato creato un “k-lab”, laboratorio per sviluppatori che intendono lavorare sui propri progetti. È stata portata nella capitale Kigali una sede della Carnegie Mellon University (Cmu) (ateneo internazionale impegnato nella ricerca e nell’innovazione, ndr) e si stanno assegnando borse di studio a giovani di tutta l’Africa orientale.
Quali vantaggi nell’introduzione di nuove tecnologie in Africa?
Le tecnologie mobile sono facili da vendere ai consumatori africani, mentre le infrastrutture e i network di distribuzione per altri tipi di prodotti sono più difficili da costruire e mantenere. I cellulari sono inoltre relativamente economici. E le mobile app possono collocarsi strategicamente all’interno di reti sociali già esistenti. Nell’Africa orientale gli imprenditori Ict utilizzano viralmente le reti delle comunità religiose per raggiungere un numero sempre maggiore di persone.
Quali sono le principali difficoltà?
A mio parere si sta guardando all’Ict come a un “silver bullet”, una soluzione “miracolosa”. Dal punto di vista dei donors, delle organizzazioni non governative e persino dei governi la tecnologia è un buon posto dove riversare danaro: è nuovo e promette molto. Il difficile è affrontare problemi macroeconomici più impegnativi come le regole inique sul commercio internazionale o la corruzione intrinseca ai sistemi politici: problemi che non spariranno magicamente con nessun tipo di tecnologia.
L'INTERVISTA
Ict per lo sviluppo, Mann: “Trasformare gli utenti in imprenditori”
La ricercatrice dell’Oxford Internet Institute fa il punto sul fenomeno: “Le iniziative sono molte, ma ci sono ancora luci e ombre”
Pubblicato il 15 Set 2012
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