Golden power e nuove regole sull’Opa. La prima è un’opzione potente che il governo intende tenersi in mano (con l’accelerazione di una normativa già in cantiere la latitante da mesi) per costringere Telecom Italia a scorporare la rete ritenuta un asset strategico del Paese (con tanto di timbro del Copasir) nel caso Telefonica entri in possesso da sola della quota di controllo.
La seconda è una modifica della legge sull’Opa così da smontare l’effetto scatola cinese di Telco (con qualche dubbio del Tesoro che preferirebbe più cautela in materia) e rendere molto più oneroso per Telefonica il controllo di Telecom.
Sono questi i due cavalli di Frisia che questa sera il Consiglio dei ministri si appresta ad impiantare nell’ordinamento italiano per sbarrare la strada agli spagnoli.
Per i quali, a questo punto, la via si fa tutta in salita. E non soltanto perché i macigni che il governo gli ha messo sulla strada rischiano di fermare davvero la marcia sull’Italia del presidente di Telefonica Cesare Alierta.
Ma anche perché ci sembra particolarmente temerario buttarsi a testa bassa in un’operazione cui almeno a parole sono tutti contrari (a parte qualche eccezione come Renato Brunetta): governo, maggioranza, opposizione, sindacati, i consiglieri indipendenti del cda di Telecom Italia e non solo il suo presidente Franco Bernabè. Potrà anche non piacere, ma è difficile fare affari in un Paese dove non ci si sente benvenuti, per usare un eufemismo.
Ovviamente, in certe posizioni ci sono riflessi di chiusure nazionalistiche poco condivisibili o di strumentalizzazioni politiche altrettanto deplorevoli. O magari preoccupazione eccessive sugli effetti occupazionali.
Probabilmente, Alierta avrebbe trovato mura contrarie meno solide se si fosse presentato in Italia con un progetto industriale per Telecom chiaro. Spiegando cosa vuole fare della società, quali investimenti ha in mente, come pensa di fare uscire l’azienda dalla tagliola del debito che rischia di strangolarla già da fine anno. Insomma, con in mano un progetto industriale di sviluppo.
Nulla di tutto questo: solo un comunicato stampa in cui si parlava genericamente di “sinergie” tra i due gruppi. Le stesse ragioni formali che hanno motivato l’ingresso di Telefonica in Telco sei anni fa ma che alla prova dei fatti si sono dimostrate poca cosa, al punto che ormai se ne sono dimenticati tutti. La verità è che Alierta è venuto in Italia solo per impedire che se la prendesse qualche suo concorrente per dargli fastidio in Brasile.
Vi sono indubbie ragioni che testimoniano a favore della strategicità della rete di telecomunicazioni fisse, anche il vista del fatto che in Italia la rete è un monopolio naturale che non perderà di importanza; anzi, con lo sviluppo delle nuove reti ultra-broadband rischia di acquisirne ancora di più. Anche se è vero che non sono problemi da affrontare con la lente deformante dello spirito nazionalistico.
In ogni caso, Telecom Italia è più della sua rete: è un grande gruppo industriale integrato (tra l’altro, scorporare la rete, volontariamente o d’imperio che sia, richiede almeno un paio d’anni che vada bene). Il suo futuro riguarda gli interessi di tutto il Paese. E il passaporto degli azionisti non c’entra.
Con Telefonica, ci sia consentito di rubare un calambour a Susanna Camusso, Telecom Italia ha un “non futuro”. Fatto di perdita delle attività in Brasile, disinteresse ad investire in Italia, spostamento degli assi decisionali a Madrid.
Tutto questo non ci sembra andare affatto in direzione dell’interesse dell’azienda, unico faro che dovrebbe guidare i consiglieri di Telecom, come giustamente osservato da uno di loro Tarak Ben Ammar. Il fatto è che a Telefonica di Telecom Italia non interessa nulla: vuole prendersi le attività in Brasile e lasciarla vivacchiare in Italia. Anche perché, indebitati come sono, l’Italia non rientra certo nelle loro priorità di investimento. Tutto questo col nazionalismo non c’entra nulla.
La marcia di Telefonica sull’Italia sembra potere essere stoppata o comunque resa più incerta. Ma questo non serve a risolvere i problemi di Telecom. È solo una precondizione. L’emergenza parla di necessità di risorse finanziarie: per far fronte al debito e per investire. È innanzitutto da lì che bisogna ripartire. Telecom non può più permettersi di tirare a campare.