IL PROTAGONISTA. Raffaelli (Cnr): “La fibra? In Italia non è indispensabile. La sfida è sui servizi

Secondo il fondatore del Cooperation Lab colmare il digital divide non significa solo portare banda dove non c’è ma fornire prestazioni innovative. “In Italia non c’è interesse a svilupparle. Perché le telco dovrebbero investire in qualcosa che non garantisce ritorni economici?”

Pubblicato il 24 Gen 2011

Una smart vision per una “smart life”. A questo ambizioso
obiettivo lavora Vincenzo Raffaelli, ricercatore
del Cnr – 63 anni di cui oltre 40 passati al Consiglio Nazionale
delle Ricerche – nonché coordinatore dello Smart Services
Cooperation Lab, il laboratorio con sede a Bologna nato nel 2009 da
un protocollo di intesa tra ministero della PA e Innovazione,
Telecom Italia e, appunto, il Cnr.
Raffaelli, cosa fate concretamente nel vostro
Lab?

Lavoriamo in team- e ci tengo a sottolineare che si tratta di una
squadra di 15 ragazzi tutti sotto i 30 anni – allo sviluppo di
progetti di servizio in grado di cambiare dal profondo la vita dei
cittadini. In questo senso il Lab si propone di essere un punto
nevralgico per la creazione di una rete cooperativa tra PA,
università e aziende per l’elaborazione di servizi innovativi in
settori strategici quali la sanità, la scuola, le utilities. Ne è
un esempio il progetto Smart Inclusion, che utilizza le moderne
tecnologie di comunicazione multimediale, per consentire ai piccoli
pazienti degli ospedali di seguire da remoto le lezioni scolastiche
e di comunicare con genitori e amici. Ad oggi ci sono 130 terminali
connessi nei reparti di oncoematologia pediatrica che consentono ai
bambini di fare una vita il più possibile normale ovvero di avere
una finestra sempre aperta sul loro mondo.
La prima grande innovazione riguarda la tecnologia di
connessione ovvero solo la rete elettrica per trasmettere i
dati…

L’utilizzo delle rete elettrica è un aspetto dirimente perché
permette di mettere in campo tecnologie di trasmissione ad alta
velocità (50Mb/sec) ma a zero impatto elettromagnetico e
ambientale dato che per l’installazione non servono né
interventi edili né di cablaggio. Nel caso di Smart Inclusion
usiamo l’infrastruttura elettrica dell’ospedale per connettere
il tablet Smart Care e le lavagne interattive sviluppate da Telecom
Italia,
Il sistema va bene per gli ospedali. Ma potrebbe funzionare
anche nelle città che vogliono diventare appunto Smart
Cities?

Non “potrebbe” funzionare, già funziona. I pali della luce
sono collegati a un armadio elettrico stradale che ne gestisce
l’accensione o lo spegnimento. Grazie al modem a onde
convogliate, cuore del sistema Smart Town (altro progetto del
Cooperation Lab ndr), è possibile azionarli da remoto,
programmando allo stesso tempo l’accensione in base alle
necessità, garantendo risparmi energetici di oltre il 30%.
Anche in questo caso, dunque, non serve la fibra o la banda
larga. Abbiamo risolto il problema del digital divide visto che il
vostro sistema funziona anche in aree svantaggiate?

Il discorso è più complesso. Sempre riguardo a Smart Town, il
passo successivo a quello descritto sopra sta nella creazione di
una rete “orizzontale” con tecnologia tradizionale, ovvero una
Lan estesa, che arrivi fin dentro gli armadi. E per fare questo la
fibra o l’Adsl servono. Il sistema così strutturato non solo
controlla da remoto i punti di illuminazione, ma consente
l’installazione di telecamere di sorveglianza oppure un sistema
di cartellonistica elettronica che funzionano anche a lampione
spento. Tornando al discorso della fibra ottica che tiene banco in
questi ultimi anni ci terrei a puntualizzare delle cose…
Lei non è d’accordo sulla sua necessità?
No, voglio dire che colmare il digital divide non significa solo
portare banda laddove non c’è, ma più concretamente portare
servizi innovativi per consentire ai cittadini di vivere meglio –
ecco perché il nostro centro si chiama Smart Service Cooperation
Lab e non Smart Technology Cooperation Lab. La questione vera è
che in Italia non c’è interesse a sviluppare servizi avanzati. E
dunque perché le telco dovrebbero investire in qualcosa che non
garantisce in alcun modo ritorni economici? Che vuole che se ne
facciano i cittadini di un collegamento che serve solo a scaricare
in film di due ore in tre secondi?
Allo stesso modo, però, chi realizza servizi dice che,
siccome non c’è la rete di trasporto, è inutile puntare
all’innovazione. È un cane si morde la coda…

Non è così perché la chiave per modernizzare il Paese – questa
è la filosofia che anima il nostro lavoro – sta tutta nel
servizio: cittadini che da ogni parte del Paese possono sfruttare
allo stesso modo le potenzialità dell’innovazione. La
Costituzione dice che siamo tutti uguali e, oggi, servizi avanzati
abilitati da tecnologie all’avanguardia possono garantire questa
uguaglianza.
Sembra quasi un’utopia in un Paese come l’Italia che
non brilla certo per innovazione…

Il problema dell’Italia non è tanto il tasso d’innovazione
quanto la mancanza di un “sistema” che metta a fattor comune
quella miriade di esperienze eccezionali che pure sono presenti nel
Paese. C’è poi il nodo della cultura del Web: le imprese non
utilizzano Internet per cercare un’integrazione, come uno
strumento per fare rete, ma come vetrina, al massimo come
piattaforma per il commercio elettronico.
Che fare per superare questa impasse?
Serve un impegno congiunto tra impresa e università che faccia
rete, ovvero che crei un canale che faccia diventare realtà le
idee più interessanti.
In questo senso il vostro Cooperation Lab è un buon
esempio.

Un esempio che non sarebbe stato possibile senza la disponibilità
del ministro Brunetta e la lungimiranza di Telecom Italia che ha
lavorato fortemente per portare Smart Inclusion negli ospedali, ed
è grazie all’investimento di Telecom Italia che si è potuto
creare questo Lab. Ma si potrebbe fare molto di più… Allo stato,
per quanti sforzi siano stati fatti da tutti, le condizioni per
continuare ad operare con profitto non rispondono ai bisogni del
Paese. Una struttura come il Cooperation Lab non può essere basata
esclusivamente su 15 ragazzi. Si deve entrare nell’ottica che
questo centro non è una scommessa di poche persone che guardano al
futuro, ma un laboratorio del Paese per il Paese. Lo dico con
dispiacere ma se le cose non si modificheranno a fine 2011 mi
vedrò costretto a lasciare.
È una questione di risorse economiche?
I soldi si trovano in Italia e in Europa. Per realizzare i servizi
non sono stati necessari mega-investimenti, soprattutto in rapporto
ai risultati ottenuti. La cosa di cui abbiamo bisogno è sentire
che facciamo parte di una filiera per l’innovazione che riguarda
tutti. Nessuno deve avere alibi per escludersi.

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