Intel investirà tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari in una serie
di nuovi stabilimenti produttivi negli Stati Uniti dove lavorerà
su nano-chip in silicio di ultimissima generazione. E’ un
investimento rilevante, sottolinea oggi il Financial Times,
soprattutto se si considera che il colosso dei chip ha attaccato il
governo americano perché non offre sufficienti incentivi alle
aziende a costruire fabbriche negli Usa, spingendole a
delocalizzare.
Il ceo di Intel Paul Otellini ha affermato proprio questo mese di
fronte al Council on foreign relations che costa un miliardo di
dollari costruire, attrezzare e gestire uno stabilimento che
produce chip negli Stati Uniti a causa dell’attuale politica
fiscale e carenza di incentivi da parte di Washington.
Ciononostante, l’azienda della Silicon Valley costruirà un nuovo
impianto produttivo nell’Oregon e ammodernerà quattro impianti
già esistenti in Arizona e Oregon per produrre chip con circuiti
larghi 22 nanometri (22 miliardesimi di un metro), ancora più
piccoli dell’attuale generazione di chip con circuiti di 32 nm.
Ciò contribuirà a creare 6.000-8.000 opportunità di impiego
nella costruzione degli stabilimenti; in più, una volta realizzati
gli impianti, Intel assumerà stabilmente 800-1000 specialisti
high-tech.
“L’annuncio di oggi rappresenta la nuova fase del continuo
progresso della legge di Moore e un nuovo impegno a investire nel
futuro di Intel e dell’America”, ha dichiarato Otellini. La
legge di Moore prevede che il numero di transistor che si possono
inserire in un chip raddoppierà circa ogni due anni. I primi chip
da 22 nm (nome in codice Ivy Bridge) dovrebbero entrare in
produzione alla fine del prossimo anno e apparire nei prodotti in
commercio nel 2012. La nuova fabbrica dell’Oregon, invece,
avvierà le operazioni di ricerca e sviluppo a partire dal 2013,
aprendo la strada probabilmente a chip di generazioni ancora più
evolute.