Il Governo Renzi si è mostrato molto attivo sulla banda ultra larga fissa, mentre sta un po’ dimenticando i fronti importanti di sviluppo del mobile, a partire dalla questione dei limiti elettromagnetici, eternamente rimandata dal legislatore. Sull’asta 700 MHz, invece, non c’è fretta, “ma non dovrà essere come tutte le altre passate, che hanno richiesto un grosso sforzo economico da parte degli operatori”, dice Dina Ravera, presidente di Asstel.
Cosa è più urgente ora da fare in Italia per assicurarci un futuro a banda ultra larga mobile?
La cosa più importante da fare è adeguare i limiti di emissione elettromagnetica su livelli raccomandati dall’ICNIRP e utilizzati dai principali concorrenti UE. Sino ad oggi gli operatori italiani hanno assorbito un gap competitivo, causato da limiti all’emissione elettromagnetica fissati prudentemente molto bassi. Nonostante questo, grazie agli investimenti degli operatori abbiamo una posizione di leadership sulla telefonia mobile; questa situazione non è più sostenibile per gli scenari futuri, caratterizzati da attese di crescita esponenziale delle quantità di dati che dovranno essere scambiati. Il periodo di osservazione degli effetti dei campi elettromagnetici è ora sufficientemente lungo da consentire scelte scientificamente più fondate rispetto all’ossequio verso un generico principio di “prudenza” che non ha alcuna base oggettiva. Per fine 2016 si attende una revisione delle linee guida all’emissione elettromagnetica da parte dell’OMS, cui auspichiamo che l’Italia si adegui rapidamente. Se intendiamo invece l’urgenza come concetto temporale, la cosa che deve avvenire nel brevissimo termine, possibilmente già entro l’estate è l’emanazione dei decreti attuativi del Crescita 2.0 sui coefficienti di attenuazione delle pareti e definizione delle pertinenze abitabili, di cui siamo in attesa da veramente troppo tempo.
Asta 700 mhz: quando andrebbe fatta e con quali regole, secondo voi?
L’asta per l’assegnazione delle nuove frequenze da utilizzare per servizi di TLC dovrà essere coerente con le condizioni del mercato, sia sotto il profilo delle tempistiche che sotto quello delle modalità di assegnazione, che inevitabilmente ha effetti diretti sugli importi che verranno mobilitati. Le necessità di ulteriori risorse frequenziali per le TLC e di un’armonizzata allocazione dello spettro a livello continentale sono nel lungo periodo innegabili; se questo lungo periodo inizi tra quattro o sei anni è un tema che, nelle condizioni attuali del settore, ci appassiona poco. Le TLC italiane sono in una fase di profonda trasformazione e sinceramente non pensiamo ci siano le condizioni, né interne al settore, né di contesto normativo, per procedere rapidamente con un’asta che aggraverebbe una situazione già complessa. Intanto va ricordato che stiamo parlando di risorse i cui diritti d’uso, in Italia, sono già stati concessi dallo Stato fino al 2032 e – al di là delle valutazioni sulla lungimiranza di una simile scelta – questo è un dato di fatto, di cui non si può non tenere conto. Inoltre, l’appetibilità delle risorse di cui stiamo parlando, che per essere “messe in produzione” necessitano di ingenti investimenti ulteriori in apparati di rete, è strettamente collegata al tema dei limiti all’emissione elettromagnetica che citavo prima. Da ultimo, le note questioni societarie che riguardano i principali operatori evidentemente incidono sulla possibilità di valutare serenamente la partecipazione ad una gara del tipo – e degli importi – che abbiamo visto in passato. Oltretutto, dubitiamo molto che, alla luce delle priorità che lo stesso Governo si è dato sull’infrastrutturazione del Paese, l’asta come l’abbiamo conosciuta sinora sia lo strumento più adeguato per procedere a questa ulteriore allocazione.
Quali preoccupazioni avete?
Il decisore pubblico non può pensare che il valore della messa a disposizione delle risorse frequenziali debba essere estratto dagli operatori in fase di assegnazione competitiva, perché il risultato è un depauperamento complessivo del settore, con conseguente riduzione della capacità di investimento privato, un esito che evidentemente il nostro paese non può più permettersi. La strada corretta sarebbe piuttosto quella di creare le condizioni per lo sviluppo dell’infrastruttura mobile mettendo a disposizione le nuove risorse frequenziali – che indubbiamente servono – in una prospettiva di promozione dell’investimento e dell’adozione da parte della domanda dei nuovi servizi che saranno resi disponibili dal mercato. In questo modo, invece di puntare su una entrata una tantum, per quanto ingente, lo Stato promuoverebbe le condizioni ottimali per stimolare l’investimento infrastrutturale, in una logica coerente con quella che ha ispirato il più recente intervento normativo in tema di reti di telecomunicazioni. Recependo la direttiva comunitaria 14/61/CE, infatti, il Governo ha chiarito che la banda ultralarga è un fondamentale fattore di arricchimento per il territorio, come risorsa di sviluppo e di attrattività degli investimenti, e che pertanto non è immaginabile gravare gli Operatori di balzelli locali o tributari che avrebbero un effetto complessivamente negativo nella visione che individua nel digitale lo strumento strategico per la crescita dell’economia e la trasformazione competitiva del Paese.
E quindi?
E quindi, coerentemente con questa logica, anche nel processo di assegnazione delle frequenze destinate alle comunicazioni elettroniche, l’obiettivo dello Stato non dovrebbe essere quello di massimizzare l’introito per la concessione dei diritti d’uso grazie alla procedura di assegnazione, ma piuttosto quello di innescare uno sviluppo dell’ecosistema che produca entrate sulle ordinarie imposte sul reddito e sul valore aggiunto grazie alla crescita di nuovi servizi e nuovi mercati. Lo Stato deve dimostrare, con un processo allocativo intelligente (che dovrà comunque essere rispettoso dei principi stabiliti nel codice delle comunicazioni elettroniche su questo tema) di considerare gli operatori del mercato TLC fornitori della piattaforma abilitante più importante per la trasformazione digitale del Paese e non fornitori di liquidità. Adottando il principio già emerso in altri ambiti che prevedono procedure competitive, in cui si è ormai affermato il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come nelle gare pubbliche di forniture si è capito che la gara al massimo ribasso non è quella che consente di individuare l’equilibrio ottimale per il benessere generale, così non è più tempo di impostare una gara al massimo rialzo per l’allocazione delle frequenze; questo indipendentemente dal momento in cui si procederà all’assegnazione.
Nel complesso, come giudicate questo 2016 del Governo Renzi sul fronte frequenze? Qualcosa si muove?
Il 2016 del Governo Renzi ha visto importanti avanzamenti delle politiche pubbliche nel settore delle TLC: è venuto a maturazione il Piano per la Banda Ultra Larga, è stato adottato il decreto legislativo n.33, che nel recepire la direttiva comunitaria per la riduzione dei costi di posa delle reti broadband ha posto le basi per sbloccare le regole sulle operazioni di scavo e ha chiarito importanti principi sul divieto di imporre agli Operatori oneri amministrativi diversi da quelli previsti nel Codice delle Comunicazioni elettroniche, una tentazione sempre presente negli enti di spesa nazionali e locali. Sul fronte del sostegno all’infrastrutturazione di rete a banda ultralarga mobile purtroppo non abbiamo registrato lo stesso attivismo: speriamo che si siano riservati le energie per concentrare tutti gli sforzi nella seconda metà dell’anno, in cui potrebbero almeno vedere la luce i decreti attuativi del Crescita 2.0 che giacciono al Ministero dell’Ambiente, e nel 2017, con l’agognato adeguamento alle condizioni operative vigenti negli altri grandi Paesi UE.