LA SFIDA

Italia digitale, è quasi giro di boa: cosa manca alla svolta buona?

Con la strategia per la Crescita digitale e il piano banda ultralarga il governo punta a portare il nostro Paese ai vertici europei. Ma l’azione di Palazzo Chigi rischia di arenarsi su due ostacoli storici: dispersione delle risorse e governance inadeguata. Ce la faranno Renzi e Madia a superarli?

Pubblicato il 22 Mag 2015

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C’è da recuperare un gap che l’Italia non può più permettersi”. È lapidario il commento che arriva dallo staff “digitale” di Matteo Renzi dopo che il Desi (Digital economy and society index), l’indice della Commissione Europea che valuta lo stato di avanzamento degli Stati membri dell’Ue verso un’economia digitale, ha collocato il nostro Paese in 25esima posizione nell’ambito dei 28 paesi Ue, posizionandoci così tra i paesi con basse prestazioni insieme a Bulgaria, Cipro, Grecia, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovenia e Slovacchia.

“Con il piano banda ultralarga e il Crescita digitale rimetteremo l’Italia in carreggiata. E lo faremo nei tempi richiesti da Bruxelles”, assicurano dal governo a CorCom, anche se le condizioni da cui si parte non sono certo delle più incoraggianti. I numeri della Ue raccontano di un’Italia che, nonostante i piani di e-gov e le varie agende digitali decise dai precedenti governi, stenta ad agganciare il treno dell’innovazione, quindi, della ripresa.

Tra i fattori che il Desi mette in risalto ci sono principalmente lo scarso utilizzo dell’e-commerce da parte delle Pmi (solo il 5,1%) nonché la più bassa percentuale a livello europeo di famiglie aventi accesso ad una connessione internet veloce (nel 2013 solo il 21%).

E anche l’e-government è ancora poco diffuso a causa di servizi online poco sviluppati e competenze digitali inadeguate che frenano l’uso del digitale nei rapporti cittadini-PA.

Numerose sono dunque le criticità che il governo Renzi dovrà affrontare per rilanciare l’Italia digitale. “Nella strategia per la Crescita digitale seguiremo un approccio integrato intervenendo su più fronti – spiegano da Palazzo Chigi – In primo luogo agiremo sul fronte nazionale, dove puntiamo a promuovere gli investimenti in innovazione con una larga partecipazione dei privati, semplificando l’avvio di partnership pubblico-privato; in secondo luogo lavoreremo su quello europeo, facendo pressing su Bruxelles perché si spingasull’armonizzazione del quadro normativo e delle politiche fiscali a livello europeo”.

Il tutto senza perdere di vista l’obiettivo da cui non si può prescindere per la digitalizzazione del Paese: garantire a tutti cittadini l’accesso ad una connessione internet veloce entro il 2020.

Al contempo, è essenziale lo sviluppo della banda ultra-larga, considerando che – come evidenziato nel position paper dell’Agenzia per l’Italia digitale – migliorare la connettività permette di migliorare la nostra competitività. Importante, inoltre, agire sulla domanda, migliorando la fiducia dei cittadini nel digitale, anche attraverso maggiori tutele e garanzie.

Sul lato dell’offerta, il digitale è riconosciuto come un settore strategico per l’innovazione e lo sviluppo: “imperativo categorico – dicono dal governo – è dunque creare le condizioni per la nascita e la crescita di start-up dall’alto potenziale innovativo in ambito digitale.

Con questi presupposti – per citare un claim caro a Renzi – sarà la “volta buona” per fare l’Italia digitale? Analizzando i movimenti verso il digitale, sembrerebbe di sì, dato che “pezzi” del Paese si stanno muovendo in maniera corretta: sono infatti partiti, o stanno per partire, progetti chiave come fatturazione elettronica, Spid, Anagrafe unica e, al contempo, le Regioni stanno facendo passi da gigante nell’attuazione dei piani territoriali.

Tutto pronto dunque? Non proprio. Restano da sciogliere due nodi “storici” che strozzano il sistema dell’innovazione made in Italy e che ancora oggi non hanno trovato soluzione: quello della governance e quello delle risorse che, poi, sono strettamente connessi.

Per quanto riguarda la governance le imprese, per la prima volta chiamate a svolgere un ruolo “attivo” nell’attuazione dei piani del governo – buone parti del Crescita digitale del piano Bul sono dedicate al ruolo che i player dell’Ict saranno chiamati a svolgere- chiedono l’istituzione di una funzione di indirizzo al livello della Presidenza del Consiglio o comunque in capo a un solo ministero con l’obiettivo di fornire le linee guida per le attività di digitalizzazione. Inoltre, come si legge nel report Glocus-Ernst Young (EY) sulla digitalizzazione della PA, serve “un organo di coordinamento tecnico centrale interno all’Agid che governi in maniera integrata, dal punto di vista tecnico e procedurale, i processi di digitalizzazione e che risponda all’organo politico di governo”.

Il rafforzamento della struttura di governance, oltre a fornire un indirizzo politico chiaro alle attività di digitalizzazione e a imprimere un maggior commitment alle amministrazioni stesse, permetterebbe, con l’istituzione della figura del Manager delle attività di Digitalizzazione prevista dal ddl Madia sulla riforma PA, un presidio capillare sulle singole PA ed un allineamento costante sullo stato di avanzamento delle iniziative tra amministrazioni e organi centrali di controllo e coordinamento. Per quanto riguarda il finanziamento, un contributo significativo lo potranno dare i fondi comunitari e nazionali.

Secondo la stima di Confindustria Digitale le risorse utilizzabili ammontano a 12 miliardi di euro per i prossimi sei anni. Tuttavia, fino ad oggi le risorse comunitarie o non sono state utilizzate o sono state utilizzate con un elevata dispersione delle iniziative, senza coordinamento tra Stato e Regioni.

In questo quadro, però, senza attivare meccanismi virtuosi che aumentino la consapevolezza su questi fattori sarà difficile incentivare un proficuo percorso di compartecipazione pubblico-privato, uno dei pilastri della strategia digitale del governo.

Diventa dunque fondamentale che queste risorse siano gestite in modo coordinato tra Governo centrale e Regioni, evitando sprechi e dispersioni. “Anche in questo caso è necessario incrementare il livello di governance, eventualmente differenziando tra i temi di competenza statale (ambiente, scuola, infrastrutture) che possono essere indirizzati centralmente ed i temi di competenza regionale”, spiegano gli analisti di EY. L’introduzione di un nuovo modello di governance che faccia da presidio anche all’allocazione delle risorse abiliterebbe il raggiungimento di una serie di benefici nella gestione procedurale, finanziaria, organizzativa e temporale di tutti i progetti di digitalizzazione.

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