Creare un polo impiantistico e manifatturiero delle
telecomunicazioni in cui far confluire Italtel, Sirti, Sielte e
Dial-Face in modo da ottenere più forti economie di scala. E’
questo, secondo quanto risulta al CorrierEconomia, il progetto a
cui sta lavorando il viceministro delle Comunicazioni Paolo Romani.
Un ruolo di primo piano verrebbe affidato a Stefano Pileri, ex
responsabile della rete di Telecom Italia e presidente di
Confindustria servizi innovativi e tecnologici.
Non è la prima volta che si tenta un “polo”, nota il
CorrierEconomia: il precedente più famoso è l’operazione Telit,
in era Craxi, quando si tentò di fondere Telettra e Italtel, ma
l’operazione naufragò tra risse politiche, interessi industriali
e scontri personali. La Fiat alla fine vendette Telettra ai
francesi di Alcatel, per i quali rappresenta tuttora un punto di
forza nell’ottica. Oggi l’idea torna a galla spinta dalla crisi
dell’Italtel, che l’amministratore delegato Umberto de Julio
sta cercando di tirar fuori dai guai con un duro piano di
ristrutturazione (ma anche Sirti non sta attraversando un periodo
felice).
Il piano de Julio – discusso davanti a Romani venerdì scorso con
i sindacati – prevede 400 tagli di personale a Milano, Roma e
Palermo. Il piano presuppone che anche azionisti e banche facciano
la propria parte. Telecom Italia e Cisco, che posseggono ciascuna
circa il 20% del capitale (la cui maggioranza è un mano al fondo
americano di private equity Cdr), stanno per sottoscrivere un
aumento di capitale di 25 milioni di euro ciascuna. Mentre le
banche (tra cui Unicredit, Banco Popolare di Milano e Interbanca)
dovrebbero rinnovare le linee di credito per dare modo alla
società di gestire con più ossigeno finanziario il peso del
debito (circa 235 milioni nel 2008). A questo scopo si sta
discutendo un’ipotesi di conversione del debito in equity
attraverso il sistema dei cosiddetti strumenti partecipativi, per
esempio convertendo in warrant parte degli interessi maturati.
L’ipotesi di creare un polo suscita molti dubbi nelle imprese
interessate. Si fa osservare che se un’azienda va bene
difficilmente sarà interessata a farsi aggregare ad altre. E’ il
caso per esempio della Sielte, società di ingegneria, che, pur in
un anno orribile come il 2009, in Italia aumenta la produzione del
2%. Se invece le imprese sono in condizioni critiche, si rischia di
mettere insieme più debolezze. In più, sinergie del genere
eliminano le sovrapposizioni e non alzano i livelli occupazionali,
anzi, li riducono.
Alla base delle difficoltà di Italtel, che nel 2008 ha fatturato
460 milioni e oggi ha circa 2.000 dipendenti, c’è il calo delle
commesse di Telecom Italia, che svolge il doppio ruolo di azionista
di minoranza e cliente di maggioranza. Tra il 2008 e il 2009 gli
ordini sono scesi da 245 a 200 milioni ed è probabile che calino
ancora nel 2010. Ma la crisi ha origini più lontane e complesse.
Italtel è una delle poche aziende del settore ad aver mantenuto
dimensione nazionale in un mondo di colossi frutto di fusioni come
Alcatel-Lucent o Nokia-Siemens e dove sono emerse le nuove tigri
asiatiche Huawei e Zte che uniscono alta tecnologia, bassi costi e
tempi di reazione rapidissimi.
Italtel è troppo piccola per competere con loro e troppo grande
per svolgere il ruolo della “boutique” che produce soluzioni su
misura, conclude il CorrierEconomia. Per esemplificare come sta
cambiando il gioco delle forniture a Telecom Italia, dalle quali
Italtel dipende, nei giorni scorsi si è svolta una gara per
l’assegnazione di lavori legati alla rete mobile. Base d’asta:
22 milioni. Huawei ha sbaragliato tutti con un’offerta da 7,5
milioni e garanzie tecniche superiori agli avversari.