La corte d'appello del distretto di Columbia mette in
discussione il principio di neutralità della rete e soprattutto
l’autorità della Federal communications commission e il suo
potere di regolare il settore della banda larga, concedendo
un’importante vittoria alla più grande azienda del cavo Usa, la
Comcast. Quest’ultima (come altri provider, da Verizon a At&t) da
anni sostiene che, spendendo miliardi sulla sua rete, ha il diritto
di gestirla come meglio crede, ovvero offrendo servizi premium e
bloccando le applicazioni che usano troppa banda.
Una posizione che trova fortemente contraria la Fcc, presieduta dal
Democratico Julius Genachowski, convinto sostenitore della net
neutrality (d’accordo, inutile dirlo, le aziende di Internet, da
Google a Skype). La Fcc, che vorrebbe varare un set di regole per
salvaguardare la neutralità della rete, considera questo principio
indispensabile per il successo del suo progetto per portare la
banda larga in tutti gli Stati Uniti: occorre infatti evitare,
afferma la Fcc, che le aziende telefoniche e del cavo usino il loro
controllo sull’accesso Internet per favorire alcuni tipi di
contenuti e servizi online rispetto ad altri. Ma la Corte
d’appello del District of Columbia ha decretato all’unanimità
(tre giudici su tre) che la Fcc non ha l’autorità necessaria per
esigere dai provider di banda larga di trattare in modo uguale
tutto il traffico Internet che transita sui loro network.
La diatriba si è accesa proprio dopo un caso che ha avuto come
protagonista la Comcast, che, nel 2007, ha interferito con un
servizio di file-sharing chiamato BitTorrent, che permette agli
utenti di scambiare file pesanti su Internet. L’anno seguente la
Fcc ha vietato alla Comcast di bloccare i suoi abbonati che
volevano usufruire di BitTorrent. La commissione, guidata allora
dal Repubblicano Kevin Martin, basò il suo ordine su una serie di
principi di net neutrality adottati nel 2005.
La Comcast ha
sempre sostenuto che l’ingiunzione della Fcc fosse illegale (i
principi di net neutrality non equivalgono a legge, sostiene
l’azienda) e che la Fcc non abbia l’autorità per imporre la
neutralità della rete perché ha deregolato il broadband sotto
l’amministrazione Bush. La sentenza della corte d’appello
sembra darle ragione.
“La decisione della corte d’appello del District of Columbia
significa che la legge non protegge i consumatori per quanto
riguarda i servizi su banda larga”, ha commentato Gigi Sohn,
co-fondatore di Public Knowledge. "Le aziende che vendono
accesso a Internet sono libere di favorire i contenuti che vogliono
sui loro network, di ostacolare alcune applicazioni o bloccarle del
tutto”.
I giudici del District of Columbia hanno indirettamente portato
alla luce un problema di non facile soluzione: se la Fcc desidera
il successo del piano nazionale per la banda larga varato lo scorso
mese dovrà dimostrare di avere un’autorità certa per regolare
il settore del broadband.
Ma la commissione definisce la banda
larga come un settore “leggermente regolato”, il che vuol dire
che non è soggetto agli stessi obblighi dei servizi di
telecomunicazione tradizionali, in particolare, condividere la rete
con i concorrenti e trattare tutto il traffico in modo uguale. La
Fcc è convinta che la legge le dà l’autorità per legiferare
sui servizi di informazione, e quindi anche sulla net neutrality,
ma la corte d’appello ha decretato il contrario e alla
commissione federale non resta che rivolgersi al Congresso per
avere un’autorità più esplicita per regolare il settore del
broadband, oppure appellarsi alla decisione dei giudici del
District of Columbia.
“Due opzioni che richiedono tempo”, nota Ben Scott, policy
director del gruppo in difesa dei diritti dei consumatori Free
Press. “Lo scenario più probabile è perciò che la Fcc
riclassifichi il broadband come servizio telecom pesantemente
regolato”. Una decisione che sarebbe, ironicamente, nel peggior
interesse delle aziende telefoniche e del cavo.
"La sentenza afferma che ci dovrebbe essere un provvedimento
da parte del Congresso per imporre alcuni principi di net
neutrality, a meno che la Fcc non trovi altre basi legali per
regolare la materia. Perciò è una "sentenza
procedurale", nel senso che dà un’indicazione sulla
procedura legale da seguire e non un giudizio sulla validità o
meno della neutralità della rete", commenta Innocenzo Genna,
esperto europeo di Tlc. "Il dato interessante è che la
Corte d’appello ha messo l’accento sul fatto che la banda larga
è deregolata negli Usa e ciò dovrebbe bastare per non intervenire
sulla net neutrality, a meno di un provvedimento esplicito che ne
dia l’autorità alla Fcc. Questo è un elemento di forte
differenza con l’Europa, che può generare confusione. Il fatto
che la banda larga sia deregolata o no, non è pre-condizione per
regolare la neutralità della rete. Ciò che veramente conta è se
c’è concorrenza sul mercato del broadband, una concorrenza tale
da permettere agli utenti di migrare da un Isp all’altro. In un
mercato della banda larga veramente concorrenziale, e non è sempre
così in Europa, la net neutrality dovrebbe essere un problema
secondario".