Al consiglio di amministrazione di giovedì prossimo, se non prima, il presidente esecutivo di Telecom Italia Franco Bernabè si presenterà dimissionario passando il timone quasi certamente nelle mani dell’attuale amministratore delegato di Poste Italiane, Massimo Sarmi, a meno di uno scatto all’ultimo momento di Francesco Caio, mr. Agenda Digitale e amministratore delegato di Avio.
Bernabè ha deciso di lanciare la spugna per risparmiare a se stesso e al gruppo i danni di un braccio di ferro con i principali azionisti che avrebbe avuto scarse possibilità di vincere, anche riuscendo a portare la questione all’assemblea degli azionisti.
Bernabè ha preso atto che non c’è più nulla da fare: la scelta di Intesa, Generali e Mediobanca di girare le loro azioni a Telefonica consentendo agli spagnoli di impossessarsi della scatola di controllo di Telecom Italia è senza ritorno. La sponda che sembrava potergli venire dalla politica (modifiche in corso della legge sull’Opa e sulla golden power) è franata: per la crisi di governo che ha impedito ogni iniziativa del Consiglio dei ministri, ma anche per divergenze sulla loro opportunità per l’evidente sapore “ad aziendam”.
Al di là di tante dichiarazioni tempestose fra il sorpreso e il tonante, dalla politica è arrivato un sostanziale via libera a telefonica (diversa è la questione del futuro della rete) che si prepara a prendere possesso della società, a partire dall’individuazione del nuovo presidente: vedremo con quali poteri effettivi, se quelli ampli di Bernabè oppure più ridimensionati.
Con gli spagnoli non c’è stato tanto uno scontro personale, ma profondi dissapori sul futuro di Telecom Italia. Per Bernabè è necessario passare per un rilevante aumento di capitale che consenta di ridurre il peso del debito e supportare gli investimenti nelle reti di nuova generazione, eventualmente anche scorporando la rete; ma è anche fondamentale mantenere all’interno del gruppo le attività di Tim Brasil. Ed è proprio questa strategia che trova contraria Telefonica. Secondo Bernabè, come abbiamo il Corriere delle Comunicazioni ha riportato venerdì scorso http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/23394_telecom-bernabe-si-dimette-sarmi-in-pole-per-la-sostituzione.htm, la linea di Telefonica porterebbe alla “distruzione” di Telecom. Di qui le dimissioni.
Spetta ora a Telefonica dimostrare che non è cosi. Nell’editoriale del numero cartaceo del Corriere delle Comunicazioni uscito oggi e pubblicato anche nel nostro sito, ma scritto ad inizio della settimana scorsa prima degli ultimi colpi di scena – avevamo posto una serie di quesiti sulle strategie di Telefonica e sul tipo di impegni che il presidente Cesar Alierta intende assumere per il futuro di Telecom. Sollevando molti dubbi, a dire il vero, sull’interesse di Telecom Italia all’operazione.
Ritiene necessario l’aumento di capitale per fare fronte al più che possibile downgrade di Moody’s? Altrimenti, cosa intende fare? Ritiene strategico che Telecom rimanga un gruppo integrato e non si privi delle sue attività sudamericane? Che ne pensa dello scorporo della rete? Quanto e con che tempi Telecom investirà nella banda ultralarga? Ha un progetto industriale per Telecom che punti a crescita e salvaguardia dell’occupazione? Oppure c’è la convenienza a deprezzare ancor più Telecom per mettere al sicuro la partecipazione a prezzi più bassi? Le decisioni strategiche, d’acquisto, i fornitori, le alleanze: sarà deciso a Madrid o a Roma? Telecom Italia manterrà una autonomia manageriale forte o finirà in tempi più o meno brevi assorbita nell’impero di Telefonica? E con quali vantaggi visto che i sinergie sinora ne sono emerse ben poche e l’impressione assai diffusa è che l’ingresso in Telecom sia avvenuto soprattutto per stoppare il rafforzamento dei concorrenti in Brasile?
Sinora Telefonica si è limitata a costruire le premesse finanziarie per la sua presa di possesso di Telco, senza spiegarne le conseguenze industriali e chiarire le sue strategie nei riguardi di una delle maggiori aziende italiane, che opera in un settore così delicato come i servizi e le reti di telecomunicazione. Si è parlato di “modello Endesa” sulla sorta di quanto ha fatto l’Enel in Spagna. A parte il fatto che si tratta di aziende e casi diversi, a Telefonica spetta di dimostrare che il loro investimento in Telecom Italia è appunto un investimento costruttivo e non soltanto un’acquisizione finanziaria di un’azienda di cui non si sa bene cosa fare. Il problema è questo, non il nazionalismo.
Ci risulta che tra breve Alierta verrà in Italia anche con l’obiettivo di spiegare i suoi progetti. Era meglio farlo prima. Ma non è mai troppo tardi. Purché sia convincente.