“L’Agcom boccia lo scorporo della rete Tim”. Questi i titoli degli articoli di alcuni dei principali quotidiani italiani a seguito della pubblicazione, sul sito dell’Authority, dello schema di provvedimento “Analisi coordinata di accesso alla rete fissa ai sensi dell’articolo 50/ter del Codice delle Comunicazioni”, al cui interno sono contenute anche le valutazioni sul piano per la separazione societaria della rete di Tim.
Il testo, sottoposto a consultazione, mira a raccogliere i pareri del mercato e dunque non siamo ancora alle conclusioni. E in un’intervista a Corcom il commissario Agcom Antonio Nicita chiarisce la questione. Nero su bianco le valutazioni sul piano di separazione societaria ossia della creazione di Netco. Da quando il piano è stato sottoposto all’Agcom sono passati mesi e anche parecchia acqua sotto i ponti: Genish non è più l’Ad di Tim, il governo si è espresso a favore della creazione di una newco delle reti e Vivendi non è più propensa a cedere l’asset.
Secondo l’Authority il progetto di Tim, a firma dell’ex Ad Amos Genish, non risolve tutti i problemi concorrenziali anche e soprattutto tenendo conto dell’articolo 50 del nuovo Codice delle Comunicazioni. Dunque così com’è il progetto non s’ha da fare. E anche in casa Tim pare che non ne siano tutti più così convinti.
Lo scontro si è fatto più che agguerrito proprio su questo tema, con i francesi di Vivendi che non vogliono mollare la rete e gli americani del Fondo Elliott che invece intendono liberarsi del “fardello” per alleggerire la società. Nel mezzo Cdp, che non si è ancora espressa in materia. Gli americani di Elliott hanno subito approfittato del “caso” Agcom per rilanciare sullo scorporo “vero”: “La decisione di Agcom conferma che il progetto di Vivendi di mantenere l’intero capitale di NetCo in Tim non solo non crea valore per gli azionisti, ma è considerata insufficiente anche per un cambiamento del quadro regolatorio – sottolinea il Fondo Usa -. Elliott ritiene che l’attuale cda debba intraprendere senza ulteriori ritardi i passi necessari per la creazione e la separazione di una rete unica, che possa creare valore per l’azienda e i suoi dipendenti, per gli azionisti e per il sistema Paese”.
E invece i sindacati tornano a ribadire la necessità di mantenere la rete salda in Tim: “L’azienda non va spaccata. Sbaglia Elliott a continuare a spingere verso questa direzione”, sottolinea il Segretario Generale della Uilcom Salvo Ugliarolo.
Il governo giallo-verde si è detto propenso a una società unica delle reti, in sostanza della newco Tim-Open Fiber, altra ipotesi in ballo da tempo. Ed è questo, più che lo scorporo tout court, il vero tema.
Non può esistere scorporo “fine a se stesso”. I tempi e le condizioni di mercato sono cambiati. E addirittura c’è chi ipotizza – in primis l’ex Ad e Presidente Franco Bernabè – che la chiave di volta sarebbe rappresentata dall’acquisizione di Open Fiber da parte di Tim, o in seconda battuta, da una partnership con l’azienda di Enel e Cdp. Una versione rivista e aggiornata di quell’ipotesi, caldeggiata per mesi e mesi, di conferire la “vecchia” Metroweb in Tim. E che con il senno di poi, forse sarebbe stata la soluzione più logica, al di là della competizione sul fronte delle infrastrutture di rete fissa innescata dalla discesa in campo di Open Fiber che senza dubbio ha impresso una svolta in materia di accelerazione nella posa della fibra.
Come una tela di Penelope il progetto dello scorporo viene dunque fatto e disfatto da anni, e ci si ritrova sempre al punto di partenza. Vero è che prima o poi bisognerà arrivare alla casella di arrivo. Le condizioni di mercato, appunto, sono cambiate. E Tim ha bisogno di garantirsi una sostenibilità. Una decisione dunque va presa. Di stampo industriale, ci si augura, più che finanziario. In ballo c’è il futuro di una delle principali aziende del Paese e con esso quello di migliaia di lavoratori. Il tutto in un momento in cui l’azienda dovrà, peraltro, mandare avanti il piano 5G, che tanto caro è costato alle telco in termini di licenze.
Intanto il valore del titolo ha raggiunto i minimi: è a 0,478 euro, valore che non toccava dall’agosto 2013. La capitalizzazione si è ridotta sotto i 10 miliardi di euro.