Le telco statunitensi sono sul piede di guerra: una petizione sottoscritta dai principali gruppi e associazioni che rappresentano la filiera delle Tlc dice no al ripristino della cosiddetta “neutralità della rete”, votato poche settimane fa dalla Federal Trade Commission con un provvedimento che, di fatto, rimette in vigore un ordine che la commissione aveva emesso per la prima volta nel 2015 durante l’amministrazione Obama e che nel 2017, sotto l’allora presidente Donald Trump, la Federal Communications Commission (Fcc) aveva abrogato.
La neutralità della rete impone ai fornitori di servizi Internet di trattare tutto il traffico allo stesso modo, eliminando qualsiasi incentivo a favorire i partner commerciali o a ostacolare i concorrenti. Il gruppo di interesse pubblico Public Knowledge descrive la neutralità della rete come “il principio secondo cui l’azienda che ti connette a Internet non può controllare ciò che fai su Internet”. Le regole, ad esempio, vietano le pratiche che limitano o bloccano determinati siti o applicazioni, o che riservano velocità più elevate ai servizi o ai clienti disposti a pagare di più.
Uno schema “destabilizzante”
“Nel 2015 – recita la petizione (SCARICA QUI IL DOCUMENTO ORIGINALE) – la Commissione (sotto una nuova amministrazione) ha ripristinato il suo approccio light-touch di lunga data. Ora, con l’ordinanza qui impugnata, la Commissione è tornata alla posizione del 2015. Questo schema destabilizzante è insostenibile per un’industria americana fondamentale. Una sospensione in attesa della revisione giudiziaria consentirebbe ai tribunali di stabilire – forse, per il bene di tutti, finalmente – se il Congresso ha contemplato l’applicazione del Titolo II ai fornitori di banda larga”.
Azioni legali in diverse corti d’appello
L’entrata in vigore dell’ordinanza è prevista per il 22 luglio. I firmatari hanno presentato istanze di revisione dell’ordinanza in diverse corti d’appello, chiedendo che la Commissione sospenda l’efficacia dell’ordinanza in attesa della revisione giudiziaria. I firmatari chiedono inoltre che la Commissione si pronunci su questa richiesta di sospensione entro il 7 giugno, per dare ai firmatari il tempo di chiedere una sospensione alla corte d’appello, se necessario, e per dare alla corte d’appello il tempo di decidere la sospensione prima che l’ordinanza entri in vigore.
Un provvedimento “illegittimo”: i rischi
I firmatari fanno notare che “l’ordinanza è illegittima sia in base alla dottrina delle grandi questioni sia in base ai principi ordinari di interpretazione della legge. Come minimo, i ripetuti cambi di marcia della Commissione tra la classificazione della banda larga ai sensi del Titolo I e del Titolo II, insieme al voto diviso 3-2 in questo caso (il ripristino della neutralità della rete è passato con voto 3-2, diviso per partito, con i commissari democratici a favore e i repubblicani contrari, ndr), rendono evidente che la legittimità dell’ordinanza è soggetta a seri dubbi”.
“In secondo luogo – aggiungono -, l’ordinanza inizierà a danneggiare i membri dei firmatari non appena entrerà in vigore il 22 luglio. Come hanno commentato diversi fornitori di servizi Internet (Isp) durante il processo di regolamentazione, l’Ordine imporrà costi significativi e irrecuperabili. Tra gli altri danni, gli Isp saranno costretti a ritardare o eliminare le offerte, a rallentare gli investimenti e a sostenere nuovi e sostanziali costi di conformità e di capitale. Nessuno di questi costi sarà recuperabile”.
Inoltre, scrivono i sottoscrittori, “l’equilibrio dei danni e l’interesse pubblico supportano una sospensione. Gli atti non suggeriscono che le regole imposte dall’ordinanza siano necessarie per affrontare danni significativi al pubblico, attuali o a breve termine. Al contrario, l’Ordine si basa principalmente su timori infondati di rischi non concreti. Queste preoccupazioni non possono giustificare l’imposizione di nuovi costi sostanziali a un settore critico dell’economia, mentre l’imperfetto Ordine della Commissione è in attesa di revisione giudiziaria. Al contrario, il pubblico trarrebbe beneficio dalla stabilità del trattamento normativo dell’industria della banda larga in attesa della determinazione definitiva della legalità dell’ordinanza”.
Al centro le regole del Telecommunications Act del 1996
Il Telecommunications Act del 1996 stabilisce due categorie di servizi di comunicazione che si escludono a vicenda: i “servizi di informazione”, che sono soggetti a una supervisione regolamentare limitata, e i “servizi di telecomunicazione”, che sono soggetti alle norme sull’operatore comune di cui al Titolo II del Communications Act del 1934.
La legge del 1996 definisce il “servizio di telecomunicazioni” come “l’offerta di telecomunicazioni a pagamento direttamente al pubblico”. Un “servizio di informazione”, invece, è “l’offerta di una capacità di generare, acquisire, memorizzare, trasformare, elaborare, recuperare, utilizzare o rendere disponibili informazioni attraverso le telecomunicazioni”.
Nell’ordinanza impugnata, la Commissione ha deciso di riclassificare nuovamente la banda larga come servizio di telecomunicazione soggetto alla regolamentazione del Titolo II, che riguarda i vettori comuni. L’ordinanza invoca molti degli stessi motivi di “apertura di Internet” del 2015, ma cita anche nuove ragioni, come la difesa della sicurezza nazionale e la lotta contro le minacce alla sicurezza informatica. In base alla classificazione della banda larga nel Titolo II, l’Ordine ripristina le precedenti norme della Commissione sulla “neutralità della rete”, che vietano agli Isp il blocco, il throttling e la prioritizzazione a pagamento. L’Ordine ripristina inoltre lo standard di condotta generale, vietando le pratiche “che interferiscono in modo irragionevole con la capacità dei consumatori o dei fornitori di contenuti di scegliere, accedere e utilizzare la banda larga”. Lo standard di condotta generale sarà attuato applicando un “elenco non esaustivo di fattori” su una base “caso per caso”.