COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

Le telefonate dal cellulare? Sono “fuori mercato”

Sollevano dubbi fra gli esperti i criteri adottati da Agcom per stilare la delibera su Vivendi-Mediaset-Telecom. Escluse dal calcolo delle “comunicazioni elettroniche” le chiamate al dettaglio che avrebbero “abbassato” al 43% la quota detenuta da Telecom nel comparto. Un proiettile in più per le cause della media company francese?

Pubblicato il 21 Apr 2017

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Le telefonate degli utenti dal cellulare non esistono. Almeno, non esistono nel comparto delle comunicazioni elettroniche italiane. Dove sono presenti le chiamate da mobile e da fisso all’ingrosso, i servizi Tlc da rete fissa all’ingrosso e al dettaglio. Ma nessuna traccia dei circa 11 miliardi fatturati dagli operatori mobili per i servizi mobili al dettaglio. Emerge dalla fotografia scattata da Agcom nella delibera che facendo perno sul Tusmar (il Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici che ha recepito la legge Gasparri) ha stabilito il divieto per Vivendi di restare allo stesso tempo dentro Telecom e dentro Mediaset. Questo perché si vuole evitare che “un’impresa che già detiene una posizione di forza nel settore delle comunicazioni elettroniche – si legge nella delibera Agcom – possa raggiungere una rilevante dimensione economica nel sistema integrato delle comunicazioni (Sic)”. Il divieto, prescritto all’articolo 43, comma 11, si applica nei casi di intreccio tra aziende media (con una quota dei ricavi superiore al 10% del Sic) e tlc (quota nel settore superiore al 40%): a Mediaset è attribuita una quota del 13,3% nel settore media, a Telecom del 55,9% nel settore delle comunicazioni elettroniche.

Il comparto delle comunicazioni elettroniche preso in esame è però curiosamente “orfano”. Mancano all’appello, appunto, le comunicazioni mobili al dettaglio. Angolazione stravagante in un periodo in cui la convergenza nelle Tlc sta registrando un’accelerazione su fisso e mobile sempre più “integrati”, anche in prospettiva, con l’avvento del “magico” mondo del 5G.

Secondo i calcoli, nel 2015 le risorse complessive hanno toccato quota 15,361 mld fra rete fissa all’ingrosso e al dettaglio, mobile all’ingrosso, altri operatori di rete. I ricavi conseguiti da Telecom sono di 8,579 milioni: corrispondenti appunto al 55,9% dei ricavi. Percentuale, per Telecom, che scenderebbe invece al 43% se il settore considerato avesse compreso anche le telefonate da mobile al dettaglio.

Ricapitolando: in uno scenario che esclude le telefonate dei clienti Telecom deterrebbe il 56%. Con le telefonate dei clienti Telecom arriverebbe al 43%. Quota molto più vicina al 40% fissato dalla Gasparri. Forse troppo vicina, considerando più fattori: che i calcoli si riferiscono ai fatturati dell’anno 2015; che il 2015 aveva visto uno stop della contrazione della telefonia mobile. Che il nodo Mediaset-Telecom-Vivendi si inserisce in un periodo molto più vicino all’attuale. E per finire che a metà maggio i risultati di Telecom potrebbero aprire scenari ancora diversi.

Si è trattato di una “scelta obbligata”, spiegano all’authority che sul “bug” ha messo al lavoro i suoi tecnici per tre mesi. Scelta dettata proprio dalla Gasparri e poi dal Tusmar che dà indicazioni sui criteri per il “calcolo” dei mercati delle comunicazioni elettroniche da tenere in considerazione. Ed ecco la chiave del restringimento del mercato: i riferimenti a cui la Gasparri si àncora sono contenuti nel codice delle comunicazioni e in raccomandazioni comunitarie che individuano nei mercati soggetti a regolamentazione ex ante i mercati “rilevanti”. Che non prevedono, già dall’”upgrade” del 2003, “la maggior parte dei servizi di comunicazioni elettroniche al dettaglio”.

Una vistosa omissione dunque. Come scrive Augusto Preta, ceo di ITMedia Consulting su Lavoce.info, “non si può dimenticare che il mobile è il vero settore dinamico e in forte crescita, su cui si concentrano oggi le strategie commerciali dei principali attori”. Basta considerare alcuni dati: “A dicembre 2016 in Italia, secondo Audiweb/Nielsen, la percentuale di utenti unici che fruiscono di video in modalità on-line ha raggiunto l’82,5 per cento del totale ed è in costante crescita (del 31 per cento in due anni), con un consumo medio giornaliero individuale di 2 ore e 34 minuti. Il 79,2 per cento del totale è stato generato dalla navigazione da mobile (smartphone e tablet), di cui l’88,8 per cento da mobile app, con un incremento del 36,8 per cento rispetto al 2015”. La scelta di Agcom rimane difficilmente comprensibile perché “appare estranea a una valutazione strategica del mercato, in grado di considerare non soltanto gli effetti attuali, peraltro dirompenti, ma anche quelli prospettici in un settore alle prese con grandi processi d’innovazione e trasformazione”.

Sfugge inoltre, all’occhio di osservatori, il senso di una scelta che non abbracci tutti i settori della comunicazione elettronica, non solo quelli “critici”. Ma anche il perché non sia stato predisposto da parte dell’authority un “ventaglio” di analisi che prevedessero una doppia lettura: sia con, sia senza il retail del mobile: anche l’interpretazione più “stringente” (con retail) avrebbe comunque assicurato un margine, sia pure minore, sopra il 40%. Si ventilano anche ulteriori possibilità. Per esempio un calcolo puramente economico del mercato delle comunicazioni elettroniche, che prescindesse cioè dalle esigenze concorrenziali. Cioè un calcolo centrato sul “semplice” codice identificativo di chi fa comunicazioni elettronica in base al decreto legislativo 2003, n. 259 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Un criterio in grado di restituire una mappatura “intera” del mercato. Al contrario il procedimento seguito – pur all’insegna di una “strada obbligata” – rischia di aprire un vuoto sulla collocazione della telefonia mobile al dettaglio, rimasta fuori della porta delle comunicazioni elettroniche, e un varco per ulteriori ricorsi da parte della media company francese.

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