Inutile negarlo. Il debutto di Iliad in Italia ha provocato uno scossone. E poco conta quanto e se il quarto operatore mobile reggerà alla competizione degli operatori consolidati nel medio-lungo periodo. Checché in molti tentino di minimizzare, quasi “snobbando” il new entrant, e nonostante le analisi poco entusiasmanti sul fronte dei pronostici, è la reazione dei competitor a dimostrare che c’è da stare in campana.
Il rischio di un’emorragia di clienti – vuoi anche per l’eco negativa della questione delle bollette a 28 giorni per non parlare dello “stalking” dei call center – non è uno scherzo. Le regole del gioco, certo, sono uguali per tutti e non a caso la stessa Iliad, sotto i riflettori mediatici, in queste prime settimane ha avuto un bel da fare nel correggere alcune “ambiguità” comunicative relative all’offerta e chiarire i dubbi dei consumatori oramai attentissimi ed espertissimi nello scovare le “trappole” nascoste nelle clausole leggibili solo agli ipermetropi.
La guerra dei prezzi, come prevedibile, è ripartita a suon di rilanci al ribasso da parte di tutti gli operatori sul mercato, ultima in termini di apparizione Vodafone con il brand Ho. Una manna per i consumatori che “magicamente” hanno la ghiotta possibilità non solo di tagliare i costi in bolletta, ma di godere di una quantità di Giga che non si era mai vista. Dai 2 Gb standard si è passati in un batter di ciglio a 10, persino 20 volte tanto. E la soglia dei mille minuti e dei mille sms ha strabordato fino all’illimitato.
Siamo dunque a un punto di svolta. Di certo le telco “storiche” avrebbero preferito non ritrovarsi in questa situazione. L’all-inclusive esasperato all’estremo inevitabilmente impatterà sui profitti. E la “voce”, a catena, andrà a ricadere sugli stanziamenti per gli investimenti nei network, quelli per l’upgrade e anche per la manutenzione e l’assistenza. Insomma sulla qualità dei servizi. La manna di oggi potrebbe dunque trasformarsi in una “piaga”. D’altro canto non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
La qualità non eccelsa del 4G non è un mistero, al netto di Iliad. Il segnale non “tiene” in molte aree del Paese, persino nelle grandi città. E la quantità crescente di dati in transito sulle reti sta mettendo a dura prova la capacità di tenuta delle reti stesse. Le aspettative sono ora tutte proiettate sul 5G. Ma il terreno è minato dal rischio per molti di non poter partecipare alle aste a causa dell’insostenibilità finanziaria del business e per tutti dalle lungaggini burocratiche che si sono accumulate a causa del ritardo nella formazione del nuovo governo.
Il cerchio dunque si sta stringendo e sta lievitando la possibilità di un nuovo consolidamento nelle Tlc italiane: il dossier Tim-Open Fiber potrebbe non essere l’unico di cui si discuterà nei prossimi mesi. L’attenzione volgerà presto verso Vodafone che rischia di trovarsi “schiacciata” senza un asset fisso di rilievo. E potrebbe dunque riaprirsi il capitolo acquisizioni. Le “prede” papabili? Non possono essere che Fastweb e Tiscali. Ancora da capire poi il ruolo di Sky, sempre più vicina a “convertirsi” in una telco. E anche Mediaset potrebbe avere un ruolo determinante nel nuovo scenario “telcomedia”.
Una cosa è certa: nelle Tlc italiane il fermento non manca mai.