La banda larga satellitare ha rappresentato, negli ultimi 25 anni, una promessa reiterata e mai pienamente mantenuta. Oggi, però, grazie alla convergenza tecnologica tra satelliti in orbita bassa, reti 5G e backbone in fibra ottica, siamo a un bivio. Per colmare il digital divide – e per difendere la propria autonomia tecnologica in un mondo sempre più instabile – l’Italia non può più affidarsi a un’unica infrastruttura. Serve un’architettura mista. Un sistema flessibile, resiliente e scalabile, che metta insieme ciò che di meglio offre ciascuna tecnologia.
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Il paradosso italiano: più reti, ma ancora troppe zone buie
Dal 2015 a oggi l’Italia ha investito miliardi di euro nella banda ultralarga, con il duplice obiettivo di raggiungere entro il 2030 una connessione da almeno 1 Gbps per tutti e di estendere la copertura 5G in ogni area abitata. Ma i numeri raccontano una storia più complicata. Secondo l’ultima mappatura del Ministero per l’Innovazione, aggiornata a inizio 2025, oltre il 22% delle famiglie italiane vive in aree prive di connessioni ad alte prestazioni. In alcune Regioni, come Basilicata, Molise, Calabria e ampie zone della Sardegna, il divario digitale è ancora profondo. Portare la fibra in queste aree, per via dei costi di scavo e della bassa densità abitativa, non è sostenibile per gli operatori privati.
Il risultato? Una “Italia a due velocità” che rischia di diventare cronica. Eppure le soluzioni esistono, e orbitano sopra le nostre teste.
Satelliti: dalla marginalità al ruolo strategico
Negli anni ’90, parlare di internet satellitare era come citare la fantascienza. Le prime esperienze, come quella pionieristica del collegamento Satnet nel 1986 dal Centro del Fucino, erano tecnicamente audaci ma troppo costose per l’uso civile. Nel 2001, il tentativo di Netsystem.com di offrire internet satellitare a mezzo milione di italiani fallì per limiti tecnologici e mancanza di domanda.
Oggi, il contesto è radicalmente cambiato. Le costellazioni in orbita bassa (Leo), come Starlink, OneWeb e Iris², promettono latenze ridotte, velocità superiori a 100 Mbps e una copertura praticamente globale. I terminali satellitari diventano sempre più economici, le tecnologie di beamforming permettono una distribuzione intelligente della banda e l’integrazione nei nuovi standard 5G (come il 3Gpp Release 17) consente il cosiddetto direct-to-device, cioè la possibilità di collegarsi direttamente a uno smartphone, senza parabole.
L’accordo Tim-Eutelsat: la svolta ibrida
Nel 2020, Tim firma un’intesa con Eutelsat per offrire connessioni via satellite nelle aree non coperte dalla fibra. Il progetto “Tim dovunque” segna un cambio di paradigma: le telco non vedono più il satellite come concorrenza, ma come complemento. Il satellite Konnect, grazie alla propulsione elettrica e alla copertura in spot-beams, garantisce velocità elevate con costi contenuti. Il lancio di Konnect Vhts nel 2022 consolida la svolta, offrendo fino a 75 Gbps di capacità.
In parallelo, si comincia a parlare di reti ibride, dove la parte core è in fibra, ma la distribuzione dell’ultimo miglio avviene via 5G Fwa o satellite. È una visione che rompe con la logica “fibra per tutti”, irrealizzabile in molte aree, e apre la strada a un nuovo modello infrastrutturale.
Lombardia, Starlink e le ambiguità geopolitiche
All’inizio del 2025, Starlink annuncia un progetto pilota in Lombardia, in collaborazione con la società pubblica Aria Spa, per connettere le aree remote. Si parla di un investimento da 1,5 miliardi di euro e di un coinvolgimento del Dipartimento per la trasformazione digitale. La notizia fa scalpore. Il ministro Crosetto nega in Parlamento l’esistenza di un contratto con il governo, ma non esclude futuri sviluppi. Intanto, Starlink conquista fette crescenti di mercato nelle aree marginali, dove né la fibra né il 5G sono arrivati.
La questione solleva un tema delicato: la sovranità tecnologica. Affidare infrastrutture critiche a un provider extra-UE, soggetto al diritto statunitense, pone interrogativi strategici. Per questo, l’Italia – come altri Stati europei – guarda con sempre maggiore attenzione al progetto IRIS².
Iris²: l’Europa risponde
Lanciato nel 2023 con il regolamento UE 588/2023, Iris² (Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security by Satellite) è il programma europeo per una connettività satellitare sicura, resiliente e autonoma. Finanziato con oltre 10 miliardi di euro da Commissione, Esa e operatori privati, il progetto prevede la messa in orbita di 290 satelliti entro il 2030.
L’Italia gioca un ruolo centrale: è il terzo contributore dell’Esa, ospita aziende strategiche come Thales Alenia Space, Telespazio, Avio, D-Orbit e punta a diventare sede di uno dei centri di controllo della costellazione. Il programma mira non solo a garantire connessione in ogni angolo d’Europa, ma anche a proteggere le comunicazioni critiche da attacchi cibernetici e da dipendenze geopolitiche.
La visione italiana: Iride e Osiride
Accanto al contributo a Iris², l’Italia ha avviato due progetti nazionali chiave: Iride, una costellazione da 36 satelliti per l’osservazione della Terra, interamente realizzata in Italia con fondi Pnrr; e Osiride, un consorzio per la gestione dei servizi a valore aggiunto, composto da D-Orbit, Planetek, Exprivia e Serco Italia.
Questi progetti dimostrano che l’Italia non è solo utente passivo delle tecnologie spaziali, ma anche attore industriale e scientifico. Eppure, resta una grande assente: una strategia chiara e integrata per la connettività ibrida.
Perché serve un modello ibrido
L’idea di una tecnologia “one size fits all” è superata. Nessuna infrastruttura, da sola, può garantire copertura totale, economicità e resilienza. Il futuro italiano – e non solo – sarà costruito su architetture miste, dove:
· La fibra assicura velocità elevate e stabilità nei centri urbani e semi-urbani;
· Il 5G, soprattutto in modalità Fwa (Fixed Wireless Access), copre aree periurbane e rurali;
· Il satellite connette territori impervi, isole, montagne, comunità isolate.
Questo modello non è solo tecnicamente logico: è anche economicamente efficiente. Secondo uno studio di Analysys Mason del 2025, per connettere l’ultimo 10% della popolazione europea, le tecnologie satellitari risultano più economiche della fibra, con risparmi fino al 70% nei costi di implementazione in aree scarsamente popolate.
Le sfide: norme, costi e sicurezza
Il cammino verso una connettività mista non è privo di ostacoli. Mancano ancora standard comuni per l’interoperabilità tra satelliti e reti terrestri. I costi dei terminali satellitari sono in calo, ma non ancora accessibili a tutte le famiglie. Le reti satellitari sono vulnerabili ad attacchi cyber, richiedono gateway terrestri sicuri e sono soggette a regolamenti internazionali ancora poco armonizzati.
Serve una normativa nazionale e comunitaria che favorisca la neutralità tecnologica, tuteli la sovranità dei dati e incentivi la collaborazione pubblico-privata. E serve una cultura politica capace di abbandonare le visioni ideologiche (pro-fibra a ogni costo o pro-5G a prescindere) per adottare un approccio pragmatico.
Il futuro non è solo un cavo o un satellite: è un sistema
Il vero salto non è tecnologico, ma culturale. L’Italia deve smettere di considerare la connettività come una somma di infrastrutture concorrenti, e iniziare a pensarla come un ecosistema sinergico. La fibra resta la spina dorsale, ma non può arrivare ovunque. Il 5G estende il segnale, ma ha bisogno di backhaul solido. Il satellite completa la rete, copre i vuoti, garantisce continuità.
Nel nuovo secolo digitale, il diritto alla connessione sarà un diritto civico fondamentale. Per garantire che ogni cittadino – dal cuore di Milano a un casale in Irpinia – possa partecipare pienamente alla vita economica, sociale e culturale, servono infrastrutture intelligenti, miste, coordinate. Serve una visione. E serve adesso.