Lombardi (Asati): “Switch off del rame viola Costituzione, governo non faccia passi falsi”

Il presidente dei piccoli azionisti teme colpi di scena: “Dettare tempi e modi per lo spegnimento lede la libertà di inziativa economica privata e la tutela della proprietà”. E avverte: “Pesanti ricadute in termini di occupazione e investimenti”

Pubblicato il 02 Mar 2015

“Voler dettare le regole sui tempi e i modi per spengere la rete in rame e per trasformarla in una rete in fibra Ftth violerebbe principi sanciti dalla costituzione: la libertà di iniziativa economica privata e la tutela dei diritti di proprietà”. Franco Lombardi, presidente di Asati, commenta le indiscrezioni di stampa secondo cui il governo sarebbe intenzionato ad obbligare lo switch off del rame nel 2030 e a spingere sull’Ftth. In una lettera inviata a governo, Parlamento e autorità competenti, Asati chiede dunque di “rivedere gli interventi sul settore preannunciati dai media”.

Lombardi perché questa bocciatura?

L’imposizione di queste due misure prettamente dirigistiche rappresenterebbe, innanzitutto, un unicum a livello internazionale e, soprattutto, a livello europeo dove il passaggio dal rame alla fibra rientra nei piani industriali di ciascun operatore. Oggi la rete in rame è parte sostanziale del sostegno dell’ingente debito causato tra l’altro da quello stesso Governo che negli anni ’97-’99 ne decise una privatizzazione selvaggia che permise di realizzare un opa a debito. Senza contare le conseguenze economiche ed occupazionali che una simile decisione determinerebbe.

Che tipo di conseguenze?

Definire la data per lo spegnimento della rete in rame comporterebbe, da subito, conseguenze economiche pesantissime, valutabili in diversi miliardi di euro sul goodwill della società, mettendo seriamente a rischio l’equilibrio patrimoniale e finanziario dell’Azienda, con gravissime conseguenze sui livelli occupazionali (oggi Telecom occupa oltre 60.000 persone ndr) sulla capacità di investimento(oggi TI è l’aziende che investe di più in Italia con oltre 3M.di di euro l’anno), oltre che sulla possibilità di distribuire dividendi agli azionisti per oltre 10 anni. Lo spegnimento della rete in rame lo deciderà la società in riferimento anche alle innovazioni tecnologiche delle tecnologie Vdsl su rame che a breve potrebbero prevedere ancora una vita lunghissima ben oltre i termini indicati prevedendo una velocita’ di trasmissione nella rete di accesso secondaria dall’armadio a casa del cliente di oltre 300 Mbits. In questo contesto, appare incomprensibile anche strategia di Cdp che, da un lato, “non si fida” di Telecom Italia e si rifiuta, quindi, di concederle la maggioranza in Metroweb, e, dall’altro, sempre stando alle notizie di stampa, si appresterebbe ad intervenire come azionista in una società o in un fondo per il salvataggio di imprese in crisi.

La soluzione per uscire da questa impasse, a suo avviso, quale potrebbe essere?

Intervenire direttamente nel capitale di Telecom Italia, come Asati ormai da anni auspica, con regole di governance che impegnino la società al rispetto di piani di investimento condivisi e nel rispetto dei tempi dell’agenda digitale europea. Al contrario l’imposizione dello switch off e della scelta architetturale come unica architettura favorirebbero l’operatore che ha investito fino ad oggi solo sulla fibra ed attraverso l’architettura Ftth, ovvero potenzialmente Metroweb. Facciamo inoltre presente il know sulle capacita’ di progettazione, gestione ed esercizio di una rete cosi’ complessa a livello nazionale le possiede oggi solo TI.

Ma un eventuale “spegnimento” del rame non potrebbe essere un driver per la fibra?

Tutt’altro. Questo intervento statale rappresenterebbe un illegittimo esproprio di una infrastruttura – la rete in rame di Telecom Italia – di un soggetto privato e quotato in borsa, senza peraltro prevedere un indennizzo. E non si pensi di costringere TI ad un futuro servizio universale a 30 Mbit/s realizzato ed in corso di ultimazione da parte della società con tecnologia Fttc, senza un adeguato indennizzo e adeguata remunerazione del capitale investito sostenuto dai suoi azionisti, risorse che ammonterebbero a diversi miliardi di euro. Quindi la domanda da porsi è un’altra.

Ovvero?

Chi fornirà le risorse in un momento di crisi economica del Paese? E questo non va assolutamente sottovalutato dal fatto che oggi già l’attuale servizio universale non trova un corretto ristoro.

Ma la Ue ci chiede di accelerare sulla banda ultralarga per rispettare gli obiettivi dell’Agenda digitale.

Sì, ma le regole europee non prevedono la scelta di una predeterminata architettura di rete (Ftth), giacché viene riconosciuta all’operatore piena libertà nel programmare i propri investimenti in base al principio, oramai consolidato da tempo, della neutralità tecnologica e cioè il diritto dell’operatore di scegliere l’architettura di rete (Fttc vs Ftth) ritenuta più efficiente. Il governo sembra non rendersi conto di questa realtà e che il settore delle Tlc è ampiamente disciplinato dalle direttive europee recepite nell’ordinamento nazionale e che sono passati ben 18 anni dalla piena e completa liberalizzazione. Un intervento impositivo sulle scelte imprenditoriali di un operatore si giustificava, in passato, quando le infrastrutture di Tlc erano gestite e controllate dal pubblico. E l’imposizione dello switch off non si giustifica neanche considerando il ritardo accumulato dal nostro Paese nel confronto internazionale, riguardo alla copertura ultrabroadband e, quindi, il rischio di non conseguire gli obiettivi posti dall’Agenda Digitale europea.

Il piano Telecom è sufficiente per raggiungere quegli obiettivi?

Il piano Telecom Italia prevede investimenti in Italia, nel triennio 2015-2017, pari a circa 10 miliardi di euro, di cui circa 5 miliardi dedicati esclusivamente alla componente innovativa (Ngn, Lte, Cloud Computing, Data Center, Sparkle e Trasformazione). Alla fine del 2017 Telecom Italia raggiungerà il 75% della popolazione con fibra ottica e oltre il 95% della popolazione con la rete mobile 4G, posizionandosi quale leader dello sviluppo infrastrutturale del Paese. L’eloquenza di queste cifre evidenziano come il governo strumentalizzi il ritardo infrastrutturale ultrabroadband del nostro Paese imponendo a Telecom Italia, soggetto privato, quotato in borsa e che opera in un mercato pienamente concorrenziale, misure di stampo sovietico.

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