Se tutta la rete un anno fa poteva avere un valore compreso tra 13 e 14 miliardi (con una riduzione dei tassi di interesse sul debito anche 15), la sola parte di accesso con il metodo dei flussi attualizzati potrebbe valere oggi attorno ai 10 miliardi di euro (poi sarà ovviamente il mercato a dare un valore). Un valore comunque giustificato dai flussi di cassa. Non va scordato infatti che quando si realizza una nuova infrastruttura (ad esempio FTTH) i flussi di cassa per molti anni sono negativi.
Lo scorporo della sola parte di accesso (dalla centrale fino a casa), il cui perno è il rame nella tratta dall’armadio di strada all’edificio, subirà però una notevole svalutazione in seguito all’entrata del 5G. La quinta generazione mobile darà alla luce una infrastruttura alternativa a quella fissa attraverso microcelle collegate in fibra aerea, superando abbondantemente la distanza che va tra la casa e l’armadio di strada. E le velocità di picco saranno ben diverse: da 100 mega a 10 giga. Mentre la restante parte di rete, quella metropolitana e nazionale, potrà continuare ad essere funzionale a tutte le nuove evoluzioni quali appunto il 5G che necessiterà di una dorsale capillare di congiungimento. Bisogna capire a questo punto se la CDP sarà ancora interessata all’acquisto della sola rete di accesso. La posizione del Movimento Cinque Stelle è infatti quella di un ritorno di tutta la rete sotto il controllo pubblico.
Dopo vent’anni lo stato dovrebbe sicuramente tornare nel controllo della rete (dopo una attenta valutazione che prenda in considerazione anche l’impatto dei debiti). Ma lo dovrebbe fare prima con una serie di regole e normative a sostegno dell’equità e dell’efficienza. Sarebbe infatti un paradosso se dopo una privatizzazione fallimentare lo Stato tornasse con soldi pubblici per compensare le perdite dei privati.
Se il Movimento Cinque Stelle continuerà nella sua linea che lo ha guidato fino alla vittoria politica, nel futuro si potrebbero porre delle serie limitazioni contro “scatole cinesi”, “leverage buyout”, “scalate a debito”, “governance in mano a minoranze” e tanti altri fattori di un sistema che è costato 70.000 posti di lavoro (senza considerare l’indotto) e una decina di punti percentuali di PIL persi per l’assenza di una infrastruttura interamente in fibra. Mentre si dovrebbe incentivare “l’azionariato diffuso e la presenza di dipendenti e piccoli azionisti negli organi collegiali come accade in Francia e Germania”.
In poche parole: tutta la rete finalmente agli italiani.