Ricordiamo che la digitalizzazione è uno strumento e non il fine. Il timore per l’Agenda digitale è che essa si scontri con i vincoli della burocrazia, come troppe volte è successo, e che si tramuti in una bella risposta alla ricerca di una domanda. Per sostenere lo sviluppo, non basta iniettare più tecnologia: occorre confrontarsi con le richieste di cittadini e aziende, valutare che cosa serve di più, introducendo nella PA il criterio della produttività, quindi del costo e del ritorno dell’investimento.
Se la fattura elettronica lascerà tempi di pagamento che sono tripli o quadrupli rispetto alla media europea, sarà un vantaggio per chi? E se l’identità digitale manterrà la proliferazione degli sportelli, ci sarà un vero beneficio? Sanità, ambiente, energia sono settori in cui l’investimento tecnologico ha costi ma anche sicuri ritorni. Dovremmo introdurre dei benchmark europei per misurarci, ridurre la spesa corrente e finanziare tecnologia e produttività. La PA deve organizzare meglio le proprie risorse e abbandonare anche la logica del “tutto in casa”.
Lo Stato – e in questo termine includo anche le sue articolazioni territoriali – a sua volta deve considerare le infrastrutture di comunicazione come un asset strategico, al pari di strade e ferrovie. E’ un problema che riguarda l’Europa nel suo complesso, dove si è dimostrato che limitarsi a favorire la competizione sui prezzi e pensare così di far leva sulla domanda non ha favorito né gli investimenti, né i servizi, né le stesse industrie europee. Occorre un nuovo modello che premi chi investe e faccia leva sulla collaborazione, anche locale, pubblico-privato per le nuove reti.