Importi non dovuti addebitati sulle utenze di migliaia di utenti Tim, Vodafone e WindTre, a causa dell’attivazione indebita dei cosiddetti Vas, servizi a valora aggiunto, sulle utenze telefoniche mobili. Ad accertare l’illecito è stato il Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza insieme alla squadra Reati informatici della Procura di Milano, che hanno eseguito perquisizioni e ispezioni informatiche. Sull’accaduto i pubblici ministeri hanno anche inviato un’informativa all’Autorità garante per le comunicazioni, l’Agcom. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il fenomeno illecito non si sarebbe fermato nemmeno durante i mesi dell’emergenza Coronavirus.
Gli investigatori indagano in questo caso sulle ipotesi di reato di frode informatica ai danni dei consumatori, intrusione abusiva a sistema telematico e tentata estorsione contrattuale. Secondo quanto risulta a CorCom tra gli indagati ci sono due ex dirigenti di WindTre e un ex dipendente dell’operatore, tutti non più in azienda dallo scorso anno, che avrebbero agito in concorso con aggregatori e hub tecnologici e content service provider (Csp). Le persone indagate risultano essere complessivamente 11, mentre gli inquirenti hanno sottoposto a sequestro preventivo una somma vicina ai 12 milioni di euro. Non è escluso che gli operatori possano, una volta chiarita la situazione, trovarsi nella situazione di parte lesa rispetto all’accaduto.
A coordinare l’indagine il procuratore della Repubblica Francesco Greco, insieme all’aggiunto Eugenio Fusco e al pm Francesco Cajani, che hanno ricostruito come bastasse visitare una pagina web, spesso pubblicizzata da banner fraudolenti, per ritrovarsi senza nemmeno un click (proprio “zero click” è il nome di queste pratiche) a essere abbonati a servizi che prevedevano il pagamento periodico (settimanale o mensile) di una somma di denaro sul conto telefonico in cambio dell’accesso a contenuti non richiesti come notizie, oroscopi, suonerie, meteo, gossip, video o altro.
Questo genere di business illeciti, secondo quanto ricostruito dall’inchiesta, genera fatturati da milioni di euro e si basa essenzialmente sull’attivazione di sevizi non richiesti sulle connessioni mobili degli utenti, senza che sia necessario alcun tipo di consenso da parte di questi ultimi: gli abbonamenti in pratica avvengono tramite semplici comunicazioni automatiche “machine to machine”.