“Sull’Agenda digitale abbiamo studiato la teoria, ma è ora di passare alla pratica”. Michele Meta, presidente della commissione Trasporti e Tlc della Camera denuncia il rischio che il piano nazionale corre: rimanere inattuato.
In questi giorni si sono di nuovo accesi i riflettori sull’Agenda. Questo fa ben sperare, no?
Certamente è una buona notizia che se ne parli e che il governo prenda degli impegni concreti. Però, da presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, non posso fare a meno di guardare con preoccupazione al famoso decreto dello scorso anno.
Cosa la preoccupa?
Il Crescita 2.0, contenente provvedimenti per l’Agenda digitale, è chiaro preciso, con date certe – così certe che alcune sono già scadute – ma con le pagine ancora vuote. Fascicolo sanitario elettronico, anagrafe digitale, biglietto elettronico, archivi notarili su supporto informatico, sistemi di trasporto intelligenti, libri di testo digitali, tracciabilità dei farmaci erogati dal Ssn, scavi per la banda larga: abbiamo studiato tutta la teoria, ma è ora di passare alla pratica. Ecco perché la risposta della politica deve essere rapida, innanzitutto. Tra decreti attuativi, regolamenti, linee guida e provvedimenti vari, previsti dal decreto 179 del 2012, ne ho contati almeno una quarantina: in parte – come dicevo – addirittura già scaduti, in parte di scadenza prossima. La legislatura è ancora giovane e il governo pure, ma l’alibi non durerà a lungo. Bisogna fare in fretta.
Quale ruolo può svolgere la commissione?
In Commissione Trasporti e Telecomunicazioni siamo pronti a fare la nostra parte. Anzi, abbiamo intenzione di accelerare il più possibile questo percorso, stimolando il governo con tutti gli strumenti a nostra disposizione. Ci aspettiamo naturalmente lo stesso atteggiamento da parte di tutte le altre Commissioni, perché – come ha scritto due settimane fa, sul Corriere delle comunicazioni, il direttore Gildo Campesato – “l’economia digitale non è tematica settoriale, da lasciare agli esperti della materia o ai ministri competenti”. In Italia non si sottolinea mai abbastanza l’impatto economico della rivoluzione digitale. Che non può essere vista in termini di costi, ma solo in termini di investimenti. Eppure, siamo indietro su due importantissimi fronti.
Quali sono?
Il primo è quello dell’alfabetizzazione informatica. Leggiamo spesso che la PA digitale garantirebbe un risparmio di tra i 25 e i 40 miliardi di euro e, altrettanto spesso, che si è avviato questo o quel progetto pilota. Ma poi manca la domanda, se i dati ci dicono che meno del 25% degli italiani contatta la pubblica amministrazione tramite internet. Meno di un italiano su 6 in vita sua ha acquistato qualcosa online. Siamo oltre 20 punti dietro alla Germania sull’utilizzo della rete, e non è un caso che proprio la Germania sia la capolista in Europa. Hanno spiegato ai cittadini che la rete non complicava loro la vita: gliela semplificava. E lo stesso dobbiamo fare anche noi, spiegando tutte le potenzialità delle nuove tecnologie. Banda larghissima in testa.
L’altro fronte su cui l’Italia sconta un forte ritardo, qual è?
Il secondo aspetto riguarda le infrastrutture. L’Italia, da questo punto di vista, è un Paese a troppe velocità. Troppe differenze tra i diversi territori, tanto è vero che pure sul tema annoso del “digital divide” lo Sviluppo economico ha diviso i bandi per fasce geografiche. Avremo regioni che riusciranno a colmarlo quest’anno, per altre bisognerà aspettare l’anno prossimo. Il passo avanti, rispetto al passato, è che il ministero sta giocando quel ruolo di coordinamento che finora era mancato, gestendo i fondi europei con i bandi e aggiungendovi proprie risorse. In questo senso un ruolo significativo potrà essere giocato dal governo anche per la banda ultralarga nelle regioni del Sud: l’Agenda digitale europea auspica la copertura totale di internet a 30 megabit al secondo entro il 2020, e almeno per la metà a 100 mega. Qualche buona notizia arriva in questi giorni dalla Campania, che venerdì scorso ha annunciato l’avvio del bando del Piano strategico nazionale: 122 milioni di euro di contributo, una sessantina di Comuni coinvolti, circa 700 mila unità immobiliari connesse ad almeno 30 mega al secondo. Senza i bandi del ministero, sia chiaro, rischiamo di avere un’Italia spezzata anche in futuro: i piani degli operatori, infatti, si fermano ai grandi centri urbani. La Commissione Trasporti chiederà al governo tempi certi, perché le buone intenzioni in questi anni non sono bastate: di fronte all’emergenza economica – lo abbiamo visto anche negli scorsi anni, con la banda larga – anche i fondi stanziati una volta rischiano di non essere stanziati per sempre. Come dicevo poco fa, dobbiamo ragionare in termini di investimenti e non di costi. Anche perché senza 30 mega al secondo buona parte dell’agenda digitale rischia di restare cartacea, e ce ne vogliono 100 perché si riesca ad attuare completamente. Sicuramente importante, su questo fronte, è il passaggio alla fibra ottica.
Questo tema coinvolge anche l’ex monopolista che si accinge ad avviare il processo di scorporo della rete. Lei che idea si è fatto?
Negli ultimi anni, Telecom ha più volte annunciato investimenti in fibra ottica – tra l’altro, caldeggiati anche dalla Commissione europea – ma li ha costantemente ridimensionati. Ora, lo scorporo dell’azienda e la creazione di una nuova società della rete potrebbe essere una straordinaria opportunità per il Paese anche da questo punto di vista, purché ci si focalizzi sugli investimenti, si cerchi il coinvolgimento del maggior numero possibile di operatori e si miri a obiettivi di concorrenza e di sviluppo.
L'INTERVISTA
Meta: “Agenda digitale: troppa teoria, passare ai fatti”
Il presidente della commissione Trasporti e Tlc della Camera avverte: “Il piano rischia di rimanere inattuato. Agire in fretta su banda ultra larga e alfabetizzazione informatica”. E sullo scorporo delle rete Telecom dice: “Opportunità per il Paese a patto che ci si concentri su investimenti e obiettivi di concorrenza e sviluppo”
Pubblicato il 21 Giu 2013
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