Un’idea che ha dato vita ad un’industria da 100 miliardi di dollari. E la capacità di fare impresa che gli ha permesso di creare 3Com, azienda quotata in Borsa (che ha lasciato nel 1990) e che poi è stata venduta ad HP nel 2010 per 2,7 miliardi di dollari. Robert Melancton Metcalfe, detto “Bob” dagli amici, oggi ha 67 anni ed è tutto tranne che un ricco pensionato: nato a Brooklyn, una laurea al Mit di Boston e un dottorato di ricerca ad Harvard, trasferitosi nella Silicon Valley per tre decenni lavorando al più esclusivo centro di ricerca del pianeta, il Parc della Xerox, e poi attivo come venture capitalist, oggi insegna innovazione e imprenditoria digitale all’Università del Texas di Austin. Grazie all’invenzione dell’Ethernet ha ricevuto la medaglia del Congresso per la tecnologia e una lunghissima lista di riconoscimenti e lauree honoris causa in tutto il mondo.
Si può insegnare a fare gli imprenditori, considerando che la maggior parte dei geni della Silicon Valley – da Bill Gates a Mark Zuckerberg – non ha la laurea?
Non è così: questa è una leggenda che deve essere smentita. Stiamo parlando di eccezioni, non certo della regola. Nella Silicon Valley e nel mondo della tecnologia in generale la maggior parte degli imprenditori e degli inventori sono laureati, moltissimi hanno anche il dottorato di ricerca. E quindi, certo che si può insegnare a fare l’imprenditore: lo insegno tutti i giorni ad Austin, che sta diventando uno dei più importanti poli di innovazione del paese.
Un centro in competizione non solo con la Silicon Valley ma anche con moltissimi altri distretti in tutto il mondo.
Gli Usa restano il miglior posto al mondo dove fare innovazione e impresa. Abbiamo le migliori università, il capitale, attraiamo i migliori talenti. Non c’è nessun altro paese come l’America.
Torniamo indietro nel tempo: la vendita di 3Com ad HP. Rimpianti per aver lasciato l’azienda?
Nessuno. Anzi, l’orgoglio confermato dai risultati finanziari di HP: a fronte di un’azienda che sta raddrizzando un business in difficoltà, con tutte le divisioni in affanno, solo la divisione networking è da 14 trimestri consecutivi in crescita. E quella divisione è sostanzialmente 3Com.
Quando ha fondato 3Com è andato a combattere in un settore, quello delle reti locali, in cui si dava per scontato che avrebbe dominato Ibm.
Lo davano tutti per scontato, per dieci anni me lo hanno ripetuto giorno e notte amici, colleghi e avversari.
Qual è stato il vostro punto di forza? Come avete fatto a sconfiggere il Token Ring di Ibm?
Con due armi. Da un lato gli standard aperti, realizzati con l’IEEE. Sono stati lo strumento di diffusione della nostra tecnologia che ci ha permesso di restare a galla contro l’Ibm di allora, che vale la pena ricordare era molto meno devota alla standardizzazione. E poi perché avevamo viaggiato tutti nel tempo, abitando dieci anni nel futuro, al Parc di Xerox. Quando siamo tornati nel presente sapevamo quali tecnologie si sarebbero affermate nel lungo periodo perché le avevamo già viste e utilizzate: il mouse, l’interfaccia grafica, le workstation e i pc.
Un vantaggio così forte?
Certo. Scommettere negli anni ’70 sui pc era un azzardo. Realizzammo schede di rete sufficientemente piccole ed economiche da essere utilizzate dai grandi clienti che negli anni ’80 scoprivano le Lan: le banche, le corporation che stavano informatizzando i loro uffici. Abbiamo capito che l’informatica diventava da box centric a net centric e abbiamo fornito lo strumento per la rivoluzione.
Perché il nome Ethernet?
Perché sapevamo fin dal principio che la nostra tecnologia non sarebbe stata limitata a un solo supporto. Quindi, anziché chiamarla “ottica” o “coassiale”, scegliemmo un nome più astratto, l’ “Etere”, che si è creduto per un periodo fosse il modo in cui si propagavano forze invisibili come la gravità. Senza dimenticare una cosa: il colore dell’Ethernet. Che è il giallo.
L'INTERVISTA
Metcalfe: “Ethernet, il mio viaggio nel futuro”
L’inventore del modello di rete racconta al nostro giornale come è nata l’idea che ha dato
vita ad un’industria miliardaria: “Eravamo avanti di dieci anni, sapevamo cosa ci aspettava”
Pubblicato il 05 Giu 2013
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