Ridare competitività al Paese. Tema centrale dell’Agenda Digitale con diverse vie di accesso, tra le quali la semplificazione normativa, la riduzione della pressione fiscale, gli investimenti nelle reti, la diffusione delle tecnologie digitali nella PA, nell’impresa e tra i cittadini.
L’alfabetizzazione digitale e le competenze informatiche diventano ancor più strategiche in un Paese che ha difficoltà a percepire il valore che le tecnologie informatiche e digitali potrebbero produrre in termini di efficienza e competitività. La nostra struttura economica dovrebbe far riflettere sull’importanza di spingere sulla diffusione della conoscenza informatica. Su oltre 5 milioni di imprese attive poche migliaia sono di grandi dimensioni, circa 300mila le Pmi e il restante 95% è fatto di micro-imprese e ditte individuali. È lecito attendersi una propensione limitata verso l’IT, soprattutto per motivi culturali. La piccola realtà, non disponendo di risorse – finanziarie, umane, tecnologiche – al pari della grande dimensione, deve dotarsi di modelli snelli in cui prevalgono la componente variabile su quella fissa, l’agilità sulla potenza.
L’alfabetizzazione informatica e digitale per le Pmi è importante quanto i contenuti didattici per gli studenti. Non basta l’innovazione di prodotto per garantirsi la sopravvivenza nei mercati o l’ingresso in alcuni di essi. Occorre anche essere attenti a tutto ciò che ruota intorno al “core business”. Documenti come ordini, bolle e fatture inserite manualmente assorbono tempo e denaro in attività a basso valore aggiunto; un sistema gestionale, in grado di assolvere agli obblighi amministrativi, necessita di aggiornamenti, back-up e presidi tecnici. Costi indispensabili, ma laterali al core business. Quando abbiamo parlato di Cloud (n° 9 del 20 maggio), si era già visto che solo il 4% di quella spesa era attribuibile alle Pmi. Ma anche quando si parla di Mobility, la tendenza viene confermata, anche se con proporzioni diverse.
“Nel 2013 la priorità attribuita agli investimenti in soluzioni mobili, funzionali al business aziendale, risulta alta o medio-alta nel 50% delle grandi aziende intervistate e nel 30% delle Pmi italiane – dichiara Paolo Catti, Responsabile dell’Osservatorio Mobile Device e Business App della School of Management del Politecnico di Milano – mentre per il 2014 le percentuali aumentano, rispettivamente, al 66% e al 37%”. “In molti casi – spiega Christian Mondini, che ha collaborato alla ricerca condotta insieme a Doxa su un campione statisticamente significativo di Pmi italiane – la minor propensione delle Pmi è determinata sia dalla riduzione dei budget IT, a causa della crisi, sia dalla limitata capacità di percepire nella Mobility una valida alleata per lo sviluppo del business”.
Nonostante il buon interesse da parte delle Pmi per i dispositivi mobili, solo il 25% ha già introdotto una mobile business app. “Il 47% – prosegue Catti – non mostra alcun interesse verso queste soluzioni. In questo caso il gap con le grandi imprese diventa più sensibile, se consideriamo la propensione futura a introdurre Mobile Business app: 27% per le Pmi e 61% per le grandi imprese. Questo suggerisce che le Pmi non hanno ancora compreso le concrete opportunità della Mobility applicata al business”. Torniamo, allora, all’assunto iniziale. Più che la carenza finanziaria, può quella culturale. Proprio lì bisogna investire. Iniziative divulgative, esperienze che le istituzioni devono promuovere, associazioni di categoria e industriali che propongono soluzioni e modelli gestionali alternativi. L’iniziativa politica è altrettanto importante con programmi e incentivi per stimolare il rinnovamento delle tecnologie in azienda. Ma anche formazione agevolata e concreta con segnali tangibili per lo sviluppo e in grado di stimolare il cambiamento. Spesso si dice che la politica dei piccoli passi è quella che paga.
Qualche dubbio esiste. Soprattutto se chi ci corre a fianco parte velocemente e riesce a mantenere un’andatura sostenuta nel tempo, ottenendo risultati e sapendoli controllare. Ma anche inserendoli in un sistema più ampio. Stimolare l’innovazione significa anche sostenere incubatori e acceleratori per imprese innovative, che coinvolgono chi è già consapevole della forza della tecnologia. Parliamo di imprenditori che possono diventare modelli da seguire e diffusori di cultura innovativa, che contaminano i pensieri e i comportamenti, spingendo all’emulazione.