«Le eccellenze italiane nell’ICT esistono ma il nostro Paese non sa valorizzarle a sufficienza”: lo dice Fabrizia Montefiori, amministratore delegato di Tiesse, società del gruppo Nvd fondata nel 1998 e focalizzata sul corporate networking, che in quindici anni ha saputo imporsi sul mercato nazionale in un settore fortemente competitivo come quello dei router e degli apparati machine to machine dove compete con big player internazionali del calibro di Huawei e Cisco.
Tiesse è in costante crescita per fatturato e forza lavoro. Siete in controtendenza nell’attuale panorama dell’Ict made in Italy.
È vero, negli ultimi 20 anni il nostro Paese ha gradualmente perso terreno nel settore industriale dell’Information and Communication Technology, disperdendo le forti competenze sviluppate negli anni Ottanta da diverse grandi aziende, in primis l’Olivetti, da cui proveniamo: Tiesse è infatti nata nel 1998 da uno spin off di una società Olivetti, dalla quale ha ereditato la tradizione e l’attitudine a ricerca, progettazione e sviluppo. Ma oggi lo scenario è cambiato: le competenze sono diventate sempre più rare e manca la rete di grandi aziende che fanno scuola, permettendo il confronto sul mercato internazionale. Noi invece riteniamo che il nostro bagaglio di competenze e potenzialità tutto “made in Italy” sia un valore non solo per Tiesse. E vogliamo fortemente mantenere in Italia questo centro di eccellenza e di produzione.
Come siete riusciti a far fronte alla crisi del comparto e all’avvento dei grandi gruppi stranieri?
Tiesse ha avuto la capacità e la fortuna di aggregare un buon team di ricercatori guidati da Luciano Lucrezia, senza dubbio una delle maggiori competenze del settore presenti oggi in Italia e che vanta un’esperienza delle reti sin dalla metà degli anni Ottanta. Sono nati così prodotti che si confrontano con successo con quelli di società più grandi operanti a livello internazionale, router che integrano contemporaneamente le tecniche più recenti di comunicazione su rete fissa (Vdsl2 G.Vectoring) e su rete mobile (Lte). Per questo siamo in grado di partecipare a gare dove concorrono gruppi quali Cisco o Huawei, pur essendo di dimensioni molto ridotte rispetto a questi giganti. E molte di queste gare le vinciamo. Le nostre tecnologie di network sono certificate e distribuite dalle principali telco quali Telecom Italia, Wind e Fastweb, con cui abbiamo rapporti consolidati. I nostri router sono nelle principali reti di stazioni di servizio, nelle cabine di distribuzione dell’energia elettrica, nella grande distribuzione e nelle banche; i principali operatori del gaming sono tra i nostri clienti più importanti.
Con quali tecnologie innovative intendete sfidare i competitor internazionali?
I nostri prodotti rispecchiano tutti gli standard di comunicazione che ne permettono l’utilizzo all’interno di qualsiasi rete dati, inoltre hanno funzionalità che ne mettono in risalto ancora di più la loro versatilità. Ad esempio, particolarmente interessante ritengo la soluzione Tiesse Network-to-Network (tn2n) studiata all’interno delle reti Smart Grid: consente il colloquio tra i nodi di rete in modo efficiente e trasparente dalla tecnologia di rete e senza alcun vincolo tra gli elementi di trasporto. Oppure le modalità di QoS per garantire i livelli di servizio desiderati in funzione della tipologia di traffico. O anche le modalità di Performance Enhancing Proxy studiate per ottimizzare il tempo di trasferimento all’interno di reti dove per motivi fisici non sempre può essere garantita la qualità del servizio (ad esempio reti mobili 2G, 3G, oppure satellitari). E naturalmente è importante anche la presenza locale, la nostra R&D è in grado di collaborare con le strutture tecniche degli operatori per ottimizzare le fasi di certificazione dei prodotti e sviluppare velocemente soluzioni innovative.
Perché avete “resistito” sul territorio invece di delocalizzare come hanno fatto altri?
Per almeno tre motivi. Uno dei nostri plus è la gestione della logistica: possiamo garantire più flessibilità, efficienza e tempistiche migliori rispetto a società che delocalizzano la produzione all’estero. Poi perché abbiamo deciso di puntare sulla qualità. Per ottenerla, non solo facciamo leva sugli skill maturati in anni di sviluppo di prodotti, ma collaboriamo con il mondo accademico – Politecnico di Torino, Politecnico di Milano e Università dell’Aquila – per sperimentare e implementare le tecnologie emergenti più innovative. Terza ragione: puntiamo a mantenere il controllo dell’intera filiera. La delocalizzazione ha risultati economici positivi nell’immediato, ma non necessariamente per settori ad alta tecnologia. Un imprenditore dotato di una vision di più lungo periodo e meno interessato al profitto di breve, cerca di proteggere i propri investimenti in ricerca, mantenendo il controllo anche sul prodotto finale. Noi siamo un’azienda indipendente che ha deciso di continuare a scommettere sull’Italia, magari accettando di ridurre i margini operativi ma continuando a crescere in Italia, assumere personale in Italia e alimentare l’indotto italiano. Negli ultimi cinque anni il nostro Ebitda si è sempre mantenuto tra il 16% e il 23%. Ovviamente siamo soddisfatti, ma vorremmo più attenzione da parte della politica a supporto del sistema Paese.
Cosa significa concretamente più attenzione?
Innanzitutto garantire maggiore visibilità a realtà come le nostre, di dimensioni certamente inferiori rispetto ai colossi stranieri, ma ugualmente in grado di garantire elevate competenze radicate in Italia. Noi siamo molto conosciuti e apprezzati dai nostri clienti, con i quali abbiamo sviluppato un rapporto di partnership basato sulla conoscenza pregressa ma soprattutto sulla qualità del servizio offerto. Ma è sul piano della politica industriale che vedo poca attenzione, anche rispetto a quella che c’è in altri Paesi europei o negli Stati Uniti. Ci dovrebbe essere un maggior riconoscimento del ruolo delle imprese, in particolare quelle tecnologiche, che scelgono di restare in Italia. Tiesse ha mostrato di essere in grado di fare ricerca e produrre in Italia trovando anche la capacità finanziarie per sostenere nel tempo gli investimenti necessari a stare sulle frontiere della tecnologia. Ritengo il nostro un settore strategico, non solo per le possibili ricadute industriali; non dimentichiamo che sulle reti e sugli apparati transitano dati sensibili, pubblici e privati, riteniamo che assegnare il monopolio delle tecnologie ad aziende tutte straniere sia un errore anche dal punto di vista della sicurezza. Il tema è di trovare il modo di supportare e valorizzare le risorse del paese, non necessariamente distribuendo incentivi. È quello, del resto, che sta facendo il presidente Barack Obama negli Stati Uniti o che fanno Paesi come Germania, Francia, Svizzera. Solo così potremmo ridare forza all’economia e alle imprese italiane.