Si può ben dire che l’Europa dello spazio si trovi in un momento delicato. L’Atv-3 “Edoardo Amaldi” è ancora agganciato alla Stazione Spaziale Internazionale, gli Atv-4 “Einstein” e 5 “Lemaitre” sono in corso di costruzione; ma per i cargo spaziali che rappresentano il top delle capacità spaziali dell’Europa non c’è più futuro dopo il 2014. Mentre è ancora aperta la discussione su quale sarà il contributo finanziario e tecnologico dell’Agenzia Spaziale Europea al programma Iss dopo il 2017, l’Esa ha bloccato – per sempre, si direbbe – la produzione di nuovi veicoli Atv e di tutti i suoi sottosistemi. Molto semplicemente, è successo che la Nasa, che stabilisce in che modo le agenzie spaziali che partecipano al programma possono “pagare” il loro contributo al mantenimento in orbita della Stazione, ha deciso (e non irragionevolmente) che l’Atv non serve più a niente.
Come ha spiegato Bill Gerstenmaier, associate administrator della Nasa per i voli umani, la Iss nei prossimi anni non avrà più bisogno di tanto carburante per mantenere l’assetto in orbita, com’è stato finora. Questa era l’unica capacità peculiare che solo l’Atv finora poteva garantire rispetto a quanto poteva fare la piccola Progress russa. Ma adesso ci saranno gli altri veicoli dei “privati” statunitensi (Cygnus e Dragon). In secondo luogo, l’Atv europeo rispetto all’Htv giapponese ha un difetto fondamentale: essendo stata progettata molti anni fa, quando l’unico accesso alla Iss era attraverso le più piccole porte di attracco della parte russa della Stazione, dispone di un portello molto piccolo e scomodo. L’Htv giapponese, invece, come Dragon e Cygnus, ne hanno uno grande e più pratico, e la Nasa ha deliberato il via libera a nuovi viaggi di Htv.
C’è poco da fare: l’Atv ormai è obsoleto. Per varie ragioni – ristrettezze finanziarie, ristrettezze di vedute, mancanza di coraggio e di programmazione – l’Europa dello spazio ha rinunciato a progettare una evoluzione del veicolo Esa, sia pure tante volte ipotizzata (come la possibilità di portare astronauti e rientrare in atmosfera). E adesso l’intera filiera produttiva e industriale è a rischio. Ogni missione Atv ha un costo di circa 460 milioni di euro e il programma di sviluppo è costato circa 1,52 miliardi di euro, calcolati come contributo europeo al programma Iss. Adesso toccherà alla decisiva ministeriale europea di novembre stabilire il da farsi: se tentare di progettare una evoluzione (più che altro, una rivoluzione) dell’Atv, oppure se coprire le spese della partecipazione Esa alla Stazione con un versamento finanziario.
Sarebbe quest’ultimo un esito davvero nefasto, da tutti i punti di vista. Non che manchino le opzioni per tentare il rilancio di Atv: la Germania vedrebbe con favore la trasformazione del cargo (eliminando la parte pressurizzata, quella che costruisce l’Italia…) in una sorta di modulo di servizio e propulsione per la capsula Nasa Orion. Ma oltre alle perplessità della Nasa che preferirebbe disporre di un modulo autonomo (già allo studio da parte della Lockheed Martin), Francia e Italia hanno già espresso la loro contrarietà. E bisognerebbe spendere molto per riprogettare completamente l’avionica, attualmente realizzata da Astrium su schemi assai datati. Altre idee sostenute dalla Francia prevedono la conversione di Atv in un piattaforma multimissione in grado ad esempio di fungere da “rimorchiatore spaziale”, capace di eliminare rifiuti spaziali di grandi dimensioni, e persino di diventare una sonda robotica in grado di raggiungere Marte. Un altro progetto che non interessa molto alla Nasa, e che soprattutto difficilmente può essere visto come “pagamento in natura” dei costi per la Iss.