LE REGOLE DEL WEB

Net neutrality, la proposta italiana per l’Internet del futuro

Negli Usa l’Fcc adotta regole in grado di garantire sia gli utenti sia la concorrenza. Applicare anche in Europa i principi base è una chance per ottenere un Web unitario, aperto e inclusivo. Due autorevoli componenti della commissione voluta dal Mise spiegano i risultati dello studio ad hoc

Pubblicato il 19 Giu 2015

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L’Open Internet Order emesso il 26 febbraio 2015 dalla Federal Communications Commission è stata forse la decisione di un organismo tecnico che ha maggiormente coinvolto l’opinione pubblica americana durante il 2014. Più di quattro milioni di risposte alla consultazione pubblica, centinaia di programmi televisivi e di interventi sui “blog” ed infine, l’intervento irrituale e appassionato del Presidente degli Stati Uniti a favore delle nuove regole. Risultato finale: L’Fcc ha approvato con tre voti favorevoli (democratici) e due contrari (repubblicani) le nuove norme sulla neutralità della rete che sostituiscono le regole di condotta definite dalla stessa Fcc nel 2010 e successivamente annullate dalla sentenza Verizon vs. Fcc del 2011.

In quella sentenza, la Corte aveva concluso che pur in presenza di possibili comportamenti discriminatori da parte del gestore della rete di telecomunicazioni (Isp) il fondamento giuridico sul quale la Fcc aveva basato le sue regole di condotta non appariva sufficientemente solido. Per questo motivo nel suo Open Internet Order del 26/2/2015 l’Fcc ha deciso di richiamare esplicitamente, come ulteriore e più solido fondamento delle sue deliberazioni, il Titolo II del Communications Act del 1934 (“Common Carrier Provision”).

Quest’ultima decisione è quella che ha sollevato le critiche più forti da parte degli Isp. Infatti, il timore degli operatori americani è che il richiamo al Titolo II potrebbe condurre a nuove regole di apertura delle reti (ad esempio l’unbundling) che sono previste nella legislazione europea e sono invece assenti nella regolazione Usa. Per questo motivo l’Fcc ha esplicitamente dichiarato di voler applicare una versione “light” del Titolo II che ha anche definito “Titolo II del XXI secolo”. Dunque un Titolo II che fonda in modo giuridicamente più saldo le decisioni sulla Net Neutrality ma che, al tempo stesso, la Fcc si impegna ad applicare in modo molto più restrittivo e adatto ai tempi rispetto alle sue potenzialità.

L’Ordine Fcc segna un’ulteriore differenza significativa sia rispetto alla decisione Fcc del 2010 che rispetto alla regolazione europea: estende i vincoli della Net Neutrality anche alle reti mobili. In Europa, le reti mobili sono regolate in modo molto più leggero perché si è sempre immaginato che la concorrenza infrastrutturale tra gli operatori fornisse, da sola, la garanzia di un’Internet aperta. Dobbiamo tuttavia osservare che se la concorrenza infrastrutturale può garantire un mercato concorrenziale, lo stesso non può essere detto per la Net Neutrality (Open Internet) che deve essere garantita indipendentemente dal numero e dalla dimensione degli Isp presenti sul mercato. Dunque, anche su questo delicatissimo punto, un allineamento con la posizione Usa sarebbe auspicabile e, a livello europeo, le regole per gli operatori mobili dovrebbero essere analoghe (anche se non necessariamente identiche) a quelle applicate agli operatori fissi.

Ovviamente, i problemi posti dalle reti mobili sono diversi da quelli delle reti fisse. Ad esempio, i contratti mobili sono spesso caratterizzati da “cap” sulla capacità utilizzabile mensilmente o settimanalmente dagli utenti e dunque modalità d’uso molto diffuse come lo “zero rating” (per il quale alcune applicazioni possono continuare a scambiare dati con la rete anche dopo aver raggiunto il “cap”) debbono essere esaminate sotto il profilo della possibile violazione del principio della Net Neutrality.
La decisione Fcc non proibisce “ex-ante” lo “zero-rating” ma piuttosto lo fa rientrare tra le pratiche lasciate alla libera contrattazione commerciale tra le parti ed esaminabili solo ex-post e caso per caso, per possibili violazioni dei principi della neutralità della rete. Sul tema “zero rating”, in sede Ue le proposte vanno dalla proibizione assoluta delle pratiche di zero rating, fino alla liceità in caso di assenza di pagamento all’Isp da parte di ”edge provider” o “content provider”.

Cosa è proibito
Il lungo e complesso testo messo in rete dall’Fcc presenta molti punti di attenzione e dipinge uno scenario nuovo per la Net Neutrality basato su tre regole chiave (“bright line rules”): “no blocking”, ovvero ogni indirizzo IP sull’intera rete Internet deve essere raggiungibile senza limitazioni; “no throttling”, ovvero gli Isp non possono bloccare o rallentare il traffico con una specifica origine o di una specifica applicazione ed infine “no (third party) paid prioritization”, ovvero gli Isp non possono dare maggiore priorità al traffico da una specifica sorgente o di una specifica applicazione sulla base di accordi commerciali con terze parti, “content/edge provider”, o più genericamente operatori “over the top” (Ott).
Questa regola impedisce che ci siano accordi di natura economica tra Isp e Ott per realizzare una “fast lane”, corsia preferenziale, su cui convogliare il traffico dell’Ott destinato a particolari utenti dell’Isp.
Cosa è consentito
Un punto di grande importanza nell’interpretazione delle logiche della decisione Fcc è che le tre “bright line rules” si applicano ai servizi di accesso a larga banda per le applicazioni di massa dei consumatori e che la no paid prioritization si applica soltanto al livello di rete del protocollo IP nella sezione di accesso a Internet. Non si applica dunque ai livelli protocollari superiori, del tipo Tcp/Http. Risultano quindi esclusi dall’Open Internet Order della Fcc:
1- i servizi per le imprese, le reti private virtuali e i servizi di hosting dei server, nonché i servizi di data storage; in particolare sono quindi esclusi i popolari servizi Cdn (Content Delivery Networks) che prevedono la memorizzazione (cache) di contenuti video e la loro gestione ottimale in punti di interconnessione a valle dell’accesso, sia dentro la rete dell’Isp a vari livelli, sia nei punti di scambio tra reti: Nap (Neutral Access Point)/IXP (Inter eXchange Point);
2- i servizi di interconnessione tra provider (Isp e Content/Edge Providers) a tutti i livelli di rete;
3- i cosiddetti “specialized services” e cioè tutti i servizi che non offrono ai consumatori l’accesso a Internet, ma si rivolgono, anche se ospitati dalle reti degli Isp, ad applicazioni dell’Internet of Things, del tipo M2M (Machine to Machine): domotica, smart cities, telemedicina, smart grid e controllo del traffico veicolare. Saranno infatti necessarie “fast lanes” e priorità a livello IP per convogliare il traffico relativo a una grande varietà di applicazioni critiche soprattutto in termini di latenza. La Fcc ha dunque deciso (esclusioni 1 e 2) di non applicare, per il momento, regole di neutralità all’interconnessione. Tuttavia, la Fcc intende vigilare e capire se il mercato è in grado di autoregolarsi e si riserva, comunque, di intervenire “ex-post” su un mercato soggetto al Titolo II del Communications Act. L’Open Internet Order consente dunque un passaggio di danaro tra Ott e telco, diverso dalla “paid prioritization” e schematizzabile come un mercato a due versanti nel quale l’Isp viene remunerato sia dall’utente che dall’Ott.

Si tratta, evidentemente, di una violazione del principio assoluto della Net Neutrality. Alcuni contenuti (quelli trasportati sulle migliori Cdn) hanno condizioni di trasporto più efficienti e garantiscono all’utente una “Quality of Experience” nettamente migliore di quella garantita a contenuti che non utilizzano le Cdn, ma si affidano alla rete “best effort”. Insomma, abbiamo una rete ad (almeno) due livelli.

Questo è accettabile? Dobbiamo decidere di impedire “a priori” lo sviluppo di reti Cdn proprietarie o di vietare l’interconnessione delle Cdn con la rete “best effort” nella quale valgono le regole della Net Neutrality?

Non si tratta di una decisione facile. Da un lato, come detto, esiste la possibilità che l’interconnessione di Cdn alteri la neutralità di Internet; dall’altro, uno schema nel quale l’Isp viene pagato da entrambi gli utilizzatori della rete alleggerisce il peso economico sull’utente e favorisce la diffuzione di Internet tra gli strati della popolazione a minor reddito e nei paesi in via di sviluppo. Proibirlo sarebbe come proibire “a priori” che nel mercato a due versanti del broadcasting televisivo “pay” (Pubblicità→Broadcaster←Utente) la pubblicità paghi il “broadcaster” per raggiungere l’utente.

Conclusioni
L’Open Internet Order della Fcc pone una versione opportunamente alleggerita e modernizzata del Titolo II del Communications Act del 1939 (“Common Carrier Provision”) alla base delle regole per la gestione del traffico Internet e avvicina, in questo modo, il quadro normativo e regolatorio Usa a quello Europeo. Applicare anche in Europa i principi base dell’Open Internet Order 2015 ispirato da Obama e tracciare linee strategiche di governo del traffico Internet analoghe a quelle Usa costituisce una grande occasione per costruire una Internet unitaria, aperta e inclusiva e non disegnata all’interno di effimeri confini continentali. La decisione Fcc garantisce regole di Net Neutrality chiare e vincolanti all’interno della rete “best effort”. La rendono accessibile a tutti nella sua interezza (“no blocking”), impediscono che “gatekeeper” non benevoli limitino il traffico tra specifici utenti e di specifiche applicazioni (“no throttling”) e soprattutto consentono esclusivamente al cittadino-utente (e lo impediscono ad un terzo) di pagare per modificare la priorità dei pacchetti a lui destinati (“no (third party) paid prioritization”). Insomma, le “bright line rules” garantiscono che nella rete di ogni Isp (indipendentemente dalla sua dimensione e dal numero di utenti che serve) siano rispettati tutti i principi fondamentali della Net Neutrality. Le regole della Fcc garantiscono anche la nascita e lo sviluppo di reti diverse da quelle che abbiamo imparato a conoscere fino ad oggi. Reti basate su grandi “data-center”, che utilizzano “server cache” distribuiti ai bordi e all’interno delle reti degli Isp (nei luoghi dell’interconnessione) per gestire in modo ottimizzato le crescenti richieste di dati (soprattutto video) da parti degli utenti. Insomma un “cloud” intelligente destinato a garantire un’elevata Quality of Experience all’utente e a sommare la sua efficienza a quella, indispensabile, di nuove reti di accesso in fibra ottica.

Le regole dell’Fcc non regolano “ex-ante” le modalità e la quantificazione economica dell’interconnessione di queste reti con le reti “best effort”. Lasciano questo compito alla libera contrattazione tra Isp e fornitori di contenuti e servizi (o edge provider o Ott).
Lo schema permesso dalle regole Fcc è quello di un mercato a due versanti nel quale l’Isp viene remunerato sia dall’utente che dall’Ott e dunque riceve da entrambi questi player le risorse necessarie per sviluppare le proprie reti. Tuttavia è necessario evitare che la posizione di Isp e Ott si trasformi da quella di intermediari in quella di “gatekeeper”.
Per questo motivo l’interoperabilità di apparati, servizi e applicazioni e una più rigorosa ed efficace applicazione delle regole antitrust in relazione alla distribuzione di app e ai servizi di indicizzazione (ad esempio: intese restrittive della concorrenza e abusi di posizioni dominanti) divengono obiettivi da perseguire in parallelo allo sviluppo delle reti di nuova generazione.

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