Sono Fastweb e Linkem a “ospitare” in Italia i server Netflix. Risulta ai 5 ricercatori della facoltà di Ingegneria elettronica ed Informatica della Queen Mary University of London autori dello studio – CorCom ne ha parlato in questi giorni – sul sistema di distribuzione video della piattaforma di streaming. Il team, guidato Steve Uhlig, professor e senior supervisor della ricerca, ha elaborato una mappa che svela uno dei “segreti industriali” custoditi dall’azienda: la dislocazione dei server nelle varie aree del pianeta. Un tema che tocca fronti particolarmente delicati come la net neutrality e le dinamiche fra operatori Tlc e i giganti Over the top che trasportano enormi carichi di byte all’interno delle reti.
Per individuare la geolocalizzazione dei server i ricercatori hanno caricato i video Netflix sui loro computer e indirizzato le richieste a diverse zone servite dal servizio. Per distribuire video, a differenza del passato in cui si serviva di server terzi, Netflix utilizza esclusivamente il proprio sistema Open Connect di Cdn.
Risulta che sono 233 i server disseminati su sei continenti. La mappa inoltre mostra sia quando Netflix si serve di server presso Internet eXchange Points (i “nodi” di interscambio alla pari) sia quando utilizza server cache all’interno delle reti degli Internet service providers.
In Italia i video vengono “consegnati” attraverso server nelle reti Isp, a Roma. “A partire da maggio 2016 i server che individuiamo su Roma sono soltanto server Isp” dice a CorCom Timm Boettger, uno dei ricercatori. In particolare si tratta di server cache “sviluppati dentro le reti di Linkem e Fastweb”. A Milano ci sono sempre Fastweb and Linkem, “ma in questo caso rileviamo anche server presso l’Ixp, sviluppati direttamente da Netflix”.
Il riconoscimento di un Isp o di un Ixp funziona così: “Netflix – spiega Boettger – indica con la stringa ix.nflxvideo.net un server situato in un Internet change, mentre .isp.nflxvideo.net indica un server situato in un Isp.
“Va comunque sottolineato che il nostro studio è puntato unicamente sulla distribuzione fisica – dice Boettger -, non sulla sua qualità. Lo studio dunque non permette di trarre conclusioni sulla qualità che un utente percepisce”.
Il supervisore Steve Uhlig ha presentato lo studio in un workshop a Berlino (http://www.future-internet.io/), cui ha partecipato anche Netflix, ma nessun commento è stato fatto dall’azienda: è stato invece ribadito che è la percezione della qualità video da parte degli utenti finali a guidare la loro tecnologia.
Uscendo dall’Italia il rapporto ha scoperto che negli Stati Uniti – l’area che genera la maggior parte del traffico di Netflix – ci sono molti server sparsi in tutto il paese. In Europa (con l’eccezione del Regno Unito, che ha anche distribuzione capillare), tuttavia, i server sono concentrati in pochi luoghi. Gli operatori Tlc francesi non hanno aperto le loro reti a Netflix.
I server sono molto più radi in zone a basso traffico Internet. Il Brasile è l’unico paese del Sud America in cui i ricercatori hanno trovato server Cdn utilizzati come Internet exchange point: ma paradossalmente si tratta anche della quinta nazione che utilizza di più Netflix.
“Lo studio è importante in quanto fornisce un’idea di come funziona Internet di oggi” dice Timm Boettger, uno dei ricercatori”. “Le diverse strategie di distribuzione osservate sono causate da differenze regionali strutturali. Di modo che Netflix è costretta ad adattare la propria strategia per garantire bassi tempi di startup dei film e per evitare gli stalli durante la riproduzione”.
L’anno scorso lo streaming video di Netflix ha prodotto il 37% del traffico Internet Usa.