Niente esuberi ma una riorganizzazione del business delle torri per fare fronte agli effetti della crisi del mercato delle Tlc. Wind Tre punta alla creazione di una newco, denominata “Pisa”, dove confluirebbero i 7.000 siti. Successivamente è prevista la vendita del 49% di questa newco. In cantiere anche il trasferimento di 150 persone dalle sedi di Roma e Napoli a Milano.
Tra le azioni anche la cessione dei data center dove sono operativi circa 100 addetti. Il piano, già illustrato ai sindacati, deve ora passare al vaglio del board. Attualmente Wind Tre impiega 6900 persone.
Il 2018 è stato un anno “spartiacque” per le telco. E non in positivo. I conti sono tutti al ribasso e la curva si è ancor più velocemente orientata verso il basso dopo il debutto del quarto operatore mobile: fatturati e profitti sono tutti in calo, i margini sempre più risicati, e la perdita e la “frammentazione” della clientela va avanti. Su questa situazione molto ha impattato anche l’esborso per le frequenze 5G: complessivamente le telco hanno pagato 6,5 miliardi, un incasso record per lo Stato ma che ha pesato sulle finanze dalle compagnie. Che stanno mettendo in campo azioni per uscite dal “tunnel”.
Nei giorni scorsi Vodafone Italia ha presentato il suo piano industriale di Vodafone Italia: 1130 esuberi da gestire aprendo un tavolo con i sindacati.
“La spinta verso modelli di business più agili e digitali – spiega Vodafone – rende necessaria una revisione dell’organizzazione e una radicale semplificazione del modello operativo per continuare ad investire, garantire la sostenibilità futura e tornare a crescere”. In questa prospettiva Vodafone Italia ha deciso una ridefinizione complessiva del modello operativo e della conseguente “riduzione del perimetro organizzativo pari 1.130 efficienze appartenenti a tutte le funzioni aziendali”.
Dal piano emerge che la strutturale trasformazione del mercato e il drastico calo dei prezzi per la straordinaria pressione competitiva, in particolare nel segmento mobile, hanno portato ad una forte contrazione di tutto il settore delle telecomunicazioni.
Non la passa meglio Tim che sta gestendo una parte degli esuberi ricorrendo a isopensione e quota 100: sono 4.300 i dipendenti in uscita a cui potrebbero aggiungersene circa 300 per effetto di Quota 100. Il piano Genish prevedeva la cassa integrazione per 29.736 lavoratori poi convertito a giugno con la solidarietà. Ora bisognerà vedere che fine faranno gli altri 21.000 di “troppo” anche e soprattutto tenendo conto delle decisioni in merito allo scorporo della rete e all’eventuali integrazione degli asset con quelli di Open Fiber.
A ricasco la crisi delle telco finisce anche sui fornitori. Sirti sta gestendo un piano esuberi di 833 unità. Per ora la procedura di licenziamento è stata bloccata per permettere l’apertura di un tavolo con sindacati: il prossimo incontro è previsto il 21 febbraio in Assolombarda.
Condizioni di mercato che hanno generato pesanti perdite finanziarie nell’ultimo biennio, scarsa marginalità e ulteriore frammentazione dei soggetti imprenditoriali concorrenti, le motivazioni alla base dei tagli.
È il segmento delle Tlc (l’azienda opera anche nel campo dell’energia e dei trasporti) a pesare sulla decisione: nonostante i piani per la fibra e per il 5G l’ammontare degli investimenti non è sufficiente a garantire la sostenibilità. “Dopo un’approfondita analisi della domanda, attuale e prospettica, e delle dinamiche competitive nel settore delle telco in Italia”, l’azienda ha deciso per un nuovo “assetto organizzativo” della divisione infrastrutture per le tlc che si traduce in concreto, appunto, in 833 esuberi.
“Il mercato delle telco – sottolineava Sirti – ha subito significativi cambiamenti strutturali nel corso degli ultimi anni e sta attraversando una profonda fase di trasformazione. In generale, a partire dal 2007, si è assistito a una pesante contrazione del giro d’affari che ha interessato prima di tutto gli operatori, senza prospettive di recupero nei prossimi anni, con conseguenze negative su tutto il settore in termini di erosione dei prezzi, inasprimento della concorrenza e perdita di marginalità fino a livelli non sostenibili”.