Quale fibra per l’Italia? Oscar Cicchetti, direttore Technology &
Operations di Telecom Italia, non ha dubbi: “Il 90/95% sarà con
tecnologia Gpon, che aggrega le fibre alla centralina, ed il 5/10%
con tecnologia point-to-point con una fibra dedicata a ciascun
cliente. Il P2P sarà al servizio di clienti business e del
collegamento dei nodi della rete mobile”.
Ing. Cicchetti, Italia cablata in fibra come punto di
arrivo?
Sì, se non mi chiede di indicare quando: non faccio l’indovino.
Dipenderà da quanto e quando il mercato richiederà servizi che
necessitano di velocità, banda, e qualità garantite. Quasi tutte
le applicazioni attuali si possono erogare con architetture meno
performanti dell’Ftth. La svolta arriverà, nel mondo consumer,
con la trasformazione della tv: da broadcasting a web-tv
personalizzata e interattiva e, nel mondo business, con la
diffusione della nuova informatica, del cloud computing.”
Intanto, a che punto siamo? Sia onesto.
Per quanto riguarda Telecom Italia, abbiamo circa 500.000 unità
immobiliari già raggiunte dalla fibra. Per il resto siamo
all’Ftte: la fibra alle centrali (in circa 8.500 su 10.500) da
dove parte il rame verso gli appartamenti. Significa che possiamo
fornire servizi Dsl a larga banda all’88% della popolazione.
Rimane un 4% di digital divide per il mancato attestamento in fibra
di centrali periferiche e un 8% dovuto dall’eccessiva distanza
delle centrali dalle abitazioni. Poi ci sono oltre 2 milioni di
unità immobiliari raggiunte dalla fibra di Fastweb con circa
300.000 clienti.
Non rischiamo di mancare gli obiettivi
europei?
Gli obiettivi dell’agenda digitale europea richiedono grandi
investimenti che non possono essere avviati senza un quadro
regolatorio certo e adeguato. Il quadro regolatorio si sta
delineando proprio in questi mesi: c’è stata la raccomandazione
europea sullo sviluppo delle reti in fibra, le linee guida del
comitato Ngn, la recentissima prima proposta dei regolamentazione
definita dall’Agcom. Ciò detto, i nostri piani consentono
all’Italia di rispondere pienamente all’agenda digitale. A fine
2010, 500.000 unità immobiliari erano passate in fibra; a dicembre
di quest’anno arriveremo a 900.000; a fine 2012 saliremo a quota
1,3 milioni. In questo primo periodo ci concentreremo sulle
maggiori 13 città. A partire dal 2013 ci allargheremo in ulteriori
125 città utilizzando la tecnologia Fttc, fiber to-the-cabinet:
una architetture più leggera che consente di passare all’Ftth
quando ci saranno le condizioni di mercato. Nel 2018 l’Italia
potrà raggiungere l’obiettivo della disponibilità del 100
Mbit/s per il 50% della popolazione con due anni di anticipo sulla
tabella Ue.
L’Fttc ha performance inferiori.
Nella rete italiana garantisce una velocità media fra 25 e 50
megabit/s. Useremo un po’ tutte le tecnologie a seconda delle
situazioni e del mercato. Ad esempio l’Fttb, il fiber-to-the
building, la fibra sino alle cantine degli edifici: consente
velocità fra i 50 e i 100 mega ed è adatto in tutte le situazioni
in cui non si riesce a realizzare i nuovi cablaggi interni (penso
agli edifici vincolati per esempio). Con l’Ftth, la fibra sino
agli appartamenti, arriveremo a 100 megabit/s.
Gpon o P2P?
“Gpon al 90/95%, come nel resto del mondo dove l’84% dei
progetti sono basati su tale architettura. L’architettura Gpon è
la più diffusa perché è quella che richiede minori investimenti,
ha costi di gestione più bassi ed è a prova di futuro per le sue
prestazioni attuali e prospettiche.
Così TI mantiene il suo domino sulla rete rendendo arduo
l’unbundling. Il Gpon si può aprire alla grande: i competitor
possono avere l’accesso in centrale, al building, al verticale.
Fra due/tre anni, con la multiplazione del colore, non sarà più
nemmeno necessario sezionare la fibra: ogni operatore avrà il suo
colore, come avviene con le frequenze del mobile. Il Gpon non è
affatto anticompetitivo: sento critiche senza fondamento nella
realtà.
Perché no P2P?
Perché richiede più investimenti e costa di più. Il Gpon, con
una concentrazione a 64 linee, ci consente di riutilizzare
tantissimo l’esistente scavando molto meno. La differenza di
investimenti necessari può arrivare al 70%. Il P2P, poi, ci
obbliga a mantenere il permutatore ottico, perpetuando la
polverizzazione delle 10.500 centrali e obbligandoci a costi di
gestione superiori del 50%. È vero, il P2P abbisogna di meno
manodopera, ma consuma 10 volte più energia. Meno posti di lavoro,
più inquinamento: è l’equazione del P2P. Conviene al Paese?
Ripeto, il GPon richiede minori investimenti, costa meno, consente
di realizzare reti aperte, ha prestazioni totalmente idonee a
soddisfare la domanda di banda attuale e futura. Pensi che con le
tecnologie WDMPon si renderà disponibile una lambda per cliente
che significa molto più di un gigabit/s.
A che punto è il “progetto Milano”?
Siamo pronti a fare la nostra parte sino in fondo: se ci saranno le
condizioni regolatorie per lo switch-off entro aprile 2015,
all’inaugurazione dell’Expo avremo l’intera Milano su fibra.