La regolamentazione italiana sulla rete a banda larghissima, appena decisa da Agcom (Autorità garante delle comunicazione), è piuttosto particolare nel panorama europeo: ha un’ampia varietà di obblighi in capo a Telecom Italia, in misura maggiore rispetto ad altri Paesi. È quello che emerge da un raffronto tra le regole italiane, francesi, tedesche, britanniche e olandesi. Ma l’incognita adesso riguarda i motivi e gli effetti di questa disparità. Si tratta di obblighi troppo pesanti, che penalizzeranno Telecom Italia? Oppure – ed è la posizione Agcom – sono il frutto di una scelta pro-competitiva, che cerca di adattarsi alle specificità del mercato italiano banda larga?
Nel confronto internazionale spicca in particolare il “remedy” italiano (cioè l’obbligo in capo a Telecom, in termini tecnici) di creare una rete in fibra spenta end-to-end. È un unicum, in Europa: “È un po’ qualcosa che si è inventata quest’Autorità, per questa fase di transizione, durante la quale ancora potrebbe non essere tecnicamente possibile l’unbundling che pure la Commissione Ue ci chiedeva di prevedere, come obbligo generale”, conferma Nicola D’Angelo, consigliere Agcom. Con l’end-to-end Telecom sarà costretta, su richiesta, a noleggiare ad altri operatori spezzoni di rete fino all’utente finale; creando ex novo le parti non ancora presenti. Altro elemento originale è l’obbligo per Telecom di fornire accesso alla fibra spenta. C’è qualcosa del genere solo in Germania, con la clausola però, assente in Italia, che l’obbligo vale solo qualora non ci sia spazio disponibile all’interno dei cavidotti per la fibra dell’operatore concorrente.
Di contro, in tutti i Paesi esaminati c’è l’obbligo all’accesso alle infrastrutture civili (scavi, cavidotti), eccetto in Olanda, dove l’Opta (Authority tlc) ha previsto solo quello di unbundling. Motivo: qui hanno fatto una società della rete (Reggefiber) con tecnologia Point to point, che consente l’unbundling. Ma è una situazione ingarbugliata, perché l’incumbent Kpn ha vinto in tribunale riuscendo a eliminare gli obblighi relativi al mercato business. L’obbligo di unbundling vale solo per il mercato residenziale anche in Germania, dove però la rete è Gpon, che al momento non permette tecnicamente questa modalità. L’Authority tedesca ha stabilito quindi che l’obbligo si realizzerà in futuro (non appena le tecnologie lo permetteranno), con modalità attuative da definire. Un po’ come quanto deciso da Agcom, che però non distingue tra mercato residenziale e business e che inoltre prevede anche il Vula (Virtual unbundling local access), non disponibile in Germania. Il Vula permette agli operatori concorrenti di spillare dalla rete Gpon di Telecom il flusso di dati relativo al proprio utente. Il Vula c’è solo nel Regno Unito, tra i Paesi considerati.
L’ultima modalità di utilizzo della nuova rete Telecom è il bitstream: è più vestito rispetto al Vula; permette all’operatore, analogamente a quanto possibile ora sul rame, di ottenere da Telecom servizi di accesso, banda garantita. Il bitstream è presente, oltre che in Italia, anche in Germania e Regno Unito. Era un obbligo previsto anche in Olanda, ma la corte l’ha annullato. Nel Regno Unito, tuttavia, il bitstream è disponibile solo in aree giudicate “non competitive” e comunque è a condizioni non orientate al costo. In Italia, bitstream e Vula dovranno essere fornite ovunque da Telecom; a condizioni “non discriminatorie” nelle zone giudicate “a concorrenza sostenibile”; con orientamento al costo, nelle altre. Agcom individuerà queste zone in un futuro intervento; nel frattempo resta ovunque l’orientamento al costo. Un’ultima particolarità nel quadro europeo è che il regolatore francese è stato il solo a prevedere un obbligo simmetrico (cioè in capo a operatori non dominanti): quello di fornire accesso al cablaggio verticale di palazzo. A quanto risulta, Telecom avrebbe voluto che qualcosa di simile venisse imposto a Fastweb, che copre un numero non indifferente di unità immobiliari (circa 2 milioni). “
Non ci sembra che Telecom abbia obblighi troppo gravosi – sostiene D’Angelo -. Abbiamo tenuto conto delle caratteristiche particolari del mercato italiano, dove Telecom ha una quota di mercato elevata sulla banda larga (53,1%, maggiore rispetto agli altri Paesi qui esaminati, ndr) e dove non c’è una rete alternativa su cavo coassiale. Inoltre – continua -, poiché da noi ancora non è chiaro come si svilupperà la Ngn, abbiamo previsto molte modalità di accesso per coprire i diversi possibili esiti tecnologici. Ma con regole astratte; le modalità concrete si vedranno solo a fronte del prossimo piano industriale Telecom”.