L’Italia rischia il ritorno al monopolio delle Tlc e di restare
sempre più indietro nella realizzazione delle vitali reti di nuova
generazione (Ngn)? Secondo Sandro Frova, docente di Finanza
aziendale dell’Università Bocconi, che scrive oggi su Milano
Finanza, la raccomandazione della Commissione Ue in tema di accesso
alle Ngn appena approvata nell’ambito del pacchetto Broadband è
un’ottima linea-guida che riconosce l’importanza di stimolare
gli investimenti nelle Ngn e migliorare il livello della
concorrenza nel settore attraverso una regolamentazione efficace
dell’operatore storico.
L’Italia, sottolinea il professore, trarrebbe anche più di altri
Paesi europei ampio giovamento dalla disponibilità di una rete
Ngn: sarebbero superati il nostro ritardo tecnologico in termini di
dotazione di banda ultralarga e la dominanza dell’ex incumbent
nell’accesso (siamo, tra i Paesi europei, uno di quelli in cui la
concorrenza nell’accesso è meno sviluppata, nota Frova), e
verrebbe recuperata produttività nel sistema economico.
Oltre a ribadire il valore concorrenziale dell’unbundling sulle
reti in fibra, la Commissione Ue evidenzia nella raccomandazione la
capacità delle reti aperte Ftth di abilitare la competizione anche
a livello di servizi. La contro-tesi degli incumbent, secondo i
quali le architetture Gpon (reti chiuse) siano meno costose, oltre
a sottovalutare il costo di upgrading che queste comportano, non
tiene conto delle pesanti implicazioni concorrenziali, nota Frova.
Reti chiuse, che non consentono a operatori alternativi di
affittare e utilizzare in modo autonomo l’ultimo miglio, lasciano
in mano all’incumbent il “monopolio dell’innovazione”,
vincolando la tipologia e la qualità dei servizi offerti dagli
operatori sul mercato alle scelte di investimento e tecnologie di
un singolo operatore.
Le raccomandazioni dell’Ue da un lato indeboliscono le
argomentazioni di Telecom Italia, che sulla Ngn chiede tempi
oggettivamente lunghi e mostra chiara antipatia a soluzioni di
co-investment; dall’altro rafforzano le tesi degli operatori
concorrenti (i cosiddetti Olo), che ormai con voce quasi univoca si
offrono di partecipare a un progetto unico di investimento che veda
la creazione in Italia di una rete infrastrutturale moderna, aperta
a tutti, trasparente e non discriminatoria.
Ci troviamo a un punto di svolta, conclude Frova: se prevarranno
scelte di architetture di rete non pro-competitive il rischio di
tornare ai monopoli del passato diventerà quasi certezza; se
invece si andrà verso la soluzione che anche la raccomandazione Ue
lascia intendere come preferibile avremo non solo una rete migliore
e più adatta all’evoluzione futura della domanda, ma anche
condizioni migliorative della concorrenza del settore e della
produttività e competitività del sistema economico italiano.
Di diverso segno l’intervento, sempre su Milano Finanza, di Luigi
Prosperetti, professore di Politica economica alla Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano. Con le
proposte avanzate nei giorni scorsi dal Comitato istituito
dall’Autorità per le comunicazioni, presieduto da Francesco
Vatalaro, il dibattito su come accelerare lo sviluppo delle reti di
accesso di nuova generazione sta finalmente diventando concreto,
secondo Prosperetti. Sono proposte che possono ancora essere
migliorate, ma che si ispirano a principi su cui si sono basate le
recenti decisioni regolamentari di Francia, Spagna e Inghilterra e
che appaiono piuttosto ragionevoli, nonostante siano sgradite ai
concorrenti di Telecom Italia. Il nodo è favorire i nuovi
investimenti, non profittare a basso costo degli investimenti
altrui, sottolinea il professore.
Il grande intervento pubblico è una chimera (lo Stato non ha i
soldi necessari) e non si può costringere Telecom Italia a
regalare ai propri concorrenti l’uso della propria rete (come
obbligarla?), scrive Prosperetti. Il Comitato Agcom avanza proposte
organiche per il passaggio alle Ngn, nel senso che tengono conto
sia di una fase transitoria in cui le nuove reti in fibra ottica
coesisteranno con la rete in rame, sia di quella finale, in cui
porzioni crescenti della vecchia rete saranno spente per essere
sostituite dalla Ngn. Il Comitato propone di adottare soluzioni
diverse in aree diverse, distinguendo tra quelle dove la domanda di
servizi che viaggiano sulle nuove reti sarà molto elevata e aree
dove la domanda sarà più ridotta.
Il Comitato propone anche di favorire il coinvestimento di più
operatori, ma se ciò non è possibile l’infrastruttura
realizzata da un solo operatore dovrebbe essere aperta ai
concorrenti, che la utilizzeranno a prezzi sorvegliati
dall’Agcom, ma non automaticamente correlati ai costi.
L’obbligo di apertura dovrà valere per tutti gli operatori e non
solo per Telecom Italia. Anche gli obblighi di accesso dovrebbero
riguardare tutti gli operatori: se Telecom Italia è l’unico a
possedere un’infrastruttura in una data località, e per favorire
lo sviluppo delle reti a banda larga occorre imporgli un obbligo di
accesso, lo stesso deve valere per le situazioni in cui sia qualcun
altro a possedere l’unica infrastruttura.
Infine, gli obblighi devono essere proporzionali all’interesse
pubblico da perseguire: se questo non è più solo di aprire una
rete già esistente alla concorrenza, ma favorire lo sviluppo di
nuove reti preservando la concorrenza, è ragionevole non prevedere
più uno stretto orientamento al costo delle tariffe di accesso. Se
si prendesse questa strada, spiega Prosperetti, nessun operatore
riuscirebbe a convincere i propri azionisti che sia ragionevole
investire e le nuove reti non si svilupperebbero: il prezzo di
accesso deve coprire i costi operativi ma anche remunerare il
rischio.