Il documento porta la data del 19 gennaio 2011 ed ha
l’intestazione di Finlombarda. A stenderlo è stato Raffaele
Tiscar, project manager che ha avuto il non facile incarico di far
partire un piano di digitalizzazione della Lombardia. Se ne parla
da tempo ma il progetto non è mai decollato. Complici
l’ambizione dell’iniziativa, ma soprattutto la divisione tra
Olo e Telecom Italia che ha paralizzato ogni proposta. Ci prova ora
un piano, ancora riservato, definito “Ipotesi di
realizzazione/cluster”, di cui il Corriere delle Comunicazioni è
entrato in possesso. Dovrebbe essere il grimaldello che consente di
rompere finalmente gli indugi.
La Lombardia viene spezzettata in tre aree sulla base della
“densità abitativa e la contiguità territoriale”. Al “primo
cluster”, quello su cui si accentrano le attenzioni del
documento, fanno capo ben sei dello otto aree (167 Comuni in tutto)
in cui viene suddiviso il territorio regionale. Raccoglie i
capoluoghi di provincia e le aree a maggior densità abitativa e
imprenditoriale. La struttura ipotizzata prevede che l’intervento
a livello di ciascun cluster sia realizzato da uno specifico
“Veicolo” interamente posseduto da una “Holding di
partecipazioni”, il cui capitale è detenuto per il 49% dalla
Regione Lombardia e il 51% dagli Olo alternativi (Wind, Vodafone e
Fastweb). La governance sarà “in mano pubblica”. Insomma, se
Maometto (Telecom Italia) non va alla montagna, sarà la montagna a
muoversi con chi ci sta, sotto la direzione della Regione.
L’investimento previsto per il primo cluster è di 412 milioni di
euro, necessari a rilegare in fibra ottica 885.073 unità abitative
e servire più di un milione e settecentomila abitanti di 31 comuni
e 47 “Central Office”.
Il cluster viene suddiviso in sei “sotto-progetti” così da
rendere bancabile l’iniziativa: procedere con i sei progetti in
parallelo consente di tagliare sensibilmente i tempi di costruzione
della rete diminuendo per gli istituti di credito i rischi
dell’operazione e i relativi costi.
La spezzatino della rete in sei parti consente inoltre di
ipotizzare quella che è la vera novità dell’iniziativa:
coinvolgervi “società multinazionali”, in particolare i vendor
di tecnologie di telecomunicazioni che, “previa procedura di
evidenza pubblica” potrebbero agire da general contractor per la
posa dei cavi e la fornitura della tecnologia, ma anche da
finanziatori diretti dell’operazione. L’effetto combinato dei
due dispositivi consentirebbe di “avviare il progetto in tempi
rapidi e minimizzare l’equity di Regione Lombardia senza
intaccare la governance”.
La fase uno prevede la costituzione di una holding company “a
capitale prevalentemente pubblico” cui sono chiamati a
partecipare gli Olo che garantiranno la migrazione della propria
clientela dal rame alla fibra. Sei società di progetto (Spv),
filiate direttamente dalla holding, cableranno il territorio dopo
essere state capitalizzate (equity) e finanziate dai vendor che
realizzeranno l’infrastruttura. In un terzo momento i vendor
potranno uscire: si ipotizza che le loro quote vengano acquisite
dal “veicolo nazionale” che uscirà dal “Tavolo Romani” e
che vedrà la partecipazione anche di Telecom Italia e Cdp. Sarà
il veicolo nazionale ad entrare, a cose fatte, nella Holding
Regionale e a rilevare attraverso essa le partecipazioni dei vendor
nelle società sottostanti.
Quanto agli apporti finanziari, si prevede che la holding sia
partecipata al 49% dalla Regione Lombardia (30-40 milioni come
apporto di capitale proprio in 3 anni); altrettanto dovrebbero
mettere Wind, Fastweb e Vodafone. L’equity complessiva sarà di
60-80 milioni di cui 10 destinati a strutturare i sistemi
informativi di controllo-progettazione, il resto alla
capitalizzazione delle singole Spv.
Il rapporto capitale proprio/debito previsto è di 30/70 con la
holding che partecipa al 20-40% del capitale di ciascuna Spv (4-28
milioni l’una, per un totale di 24-48 a seconda delle ipotesi di
apporto). I vendor sono chiamati a partecipare al 60-80% del
capitale di ogni Spv con un contributo di 12-16 milioni ciascuno
per un totale di 72-96 milioni. Ogni Spv sarà indebitata per 50
milioni.
Sono dunque i fornitori di tecnologie a trovarsi il pallino in
mano: Alcatel-Lucent, Ericsson, Nsn, Huawei, Zte in primis.
Accetteranno? Per ora, a quanto risulta al Corriere delle
Comunicazioni, gli umori sono contrastanti. Anche perché lo sono
gli interessi. Da un lato i fornitori tradizionali paiono poco
propensi ad impegnarsi, anche finanziariamente, su un’iniziativa
che vede il loro principale cliente, TI, defilato se non
addirittura contrario. Senza parlare dell’incertezza sul
riacquisto delle loro quote da parte del veicolo nazionale.
Dall’altro vi sono quanti, le società cinesi, vedono il piano
come l’occasione per rafforzare la loro presenza in Italia. E per
i cinesi, i soldi da mettere sul piatto sono l’ultima
preoccupazione.