Tempi di crisi anche per le telecomunicazioni. Un po’ per la difficile situazione economica, un po’ per la tecnologia, in questi ultimi giorni arrivano dati non proprio confortanti per il settore.
In particolare, il mercato delle connessioni su rete fissa conosce una crisi mai così profonda, con tutta una serie di conseguenze soprattutto per lo sviluppo delle reti di nuova generazione. Il mobile, come era facile prevedere, la fa da padrone e lo stentato quadro degli investimenti sulla fibra si colora ancora più di scuro. Come assolvere la complicata missione di portare la larghissima banda a numeri sempre più importanti di popolazione, come non pregiudicare definitivamente l’Ngn per l’Italia. Domande non da poco a cui tra l’altro il nostro Governo sarà chiamato a rispondere anche nella qualità di presidente del semestre europeo.
Dopo gli annunci di Telecom Italia e le discussioni sui soliti nodi della regolazione, nulla è comparso di serio all’orizzonte.
Ci si è affidati al piano Caio, allo sviluppo del digitale nella pubblica amministrazione, alla spinta della domanda di servizi innovativi, ma fibra a terra se ne è vista pochina. E allora è riniziato il mantra della Cassa Depositi e Prestiti, una specie di San Gennaro a cui rivolgersi per tutti i miracoli, e l’annuncio di conferenze nazionali e dibattiti sul tema. In attesa che l’oracolo di via Goito parli, sarebbe il caso comunque di darsi una mossa. Certo nessuno può pensare che l’argomento sia semplice. C’è una questione finanziaria i cui contorni sono noti e c’è una questione tecnologica, cioè l’avanzarsi di tecnologie sostitutive o apparentemente sostitutive della vecchia cara connessione fissa (ad esempio Lte, wi-max, satellite). Molti sostengono che ormai, vista l’esistenza delle dorsali in fibra, il tema dell’ultimo miglio non potrà che essere risolto dalle tecnologie mobili. Forse chi lo dice ha qualche interesse diretto, forse non ha chiara la complessità dell’uso delle frequenze nel nostro paese, o forse più semplicemente ha ragione.
D’altra parte, gli antropologi ci insegnano che l’uomo ha sempre avuto un anelito allo spostamento e che così sarà anche nell’epoca digitale. Tuttavia, di mancanza di una rete di nuova generazione non possiamo morire. Quel poco che in questi anni si è mosso è stato soprattutto a livello territoriale. Regioni, province, città o municipalizzate hanno messo giù fibra spesso in modo disorganico e senza una chiara visione del relativo utilizzo. Insomma, “nei territori” come si dice in politichese, la fibra c’è ed è una infrastruttura che sta lì e non soffre delle turbolenze del mercato perché è fuori da questo. Si tratta dunque di farla usare “bene”.
Ma qui sorge un problema (altrimenti non saremmo in Italia). Nel recente disegno di legge costituzionale approvato dal Governo la competenza sulle comunicazioni elettroniche, ora ripartita tra Stato centrale e Regioni, viene trasferita esclusivamente al centro, con buona pace degli sforzi anche legislativi in materia fatti in questi anni dagli enti territoriali. Sarà dunque lo Stato centrale, se l’idea va avanti, a doversene occupare. Speriamo che raggiunga risultati migliori di quelli fin qui visti.