Stanno per scadere i 18 mesi per il recepimento, da parte dei 27
Stati Ue, del Telecom Package, la riforma del settore delle Tlc
approvata dal Parlamento europeo a novembre 2009. La dealine è
fissata al 25 maggio, ma il dibattito, quello che si è
prepotentemente riaperto sui costi di accesso alle reti esistenti
(Italia e Spagna hanno deliberato per l’aumento dei canoni)
rischia di far slittare i tempi.
La Commissione Ue è chiamata entro il mese di settembre a definire
le “linee guida” sulle modalità di pricing dell’accesso
wholesale alle infrastrutture in rame da parte degli operatori di
Tlc tenendo conto delle esigenze di investimento nelle nuove
infrastrutture ultrabroadband (Ngn).
La questione non è da poco: big telco e Olo sono su posizioni
nettamente differenti. Le prime, rappresentate dall’Etno,
sostengono che gli aumenti tariffari sono necessari per generare
cassa ossia per reperire risorse da investire nella realizzazione
dei nuovi network. Da parte loro gli Olo, sotto l’ala
dell’Ecta, sono del parere che le tariffe al contrario debbano
abbassarsi per favorire velocemente la transizione dal rame alla
fibra. Etno ed Ecta hanno entrambe commissionato studi per
dimostrare la validità delle tesi sostenute dalle aziende
rappresentate. I risultati delle analisi dell’Etno
dimostrerebbero che tagliare le tariffe di accesso alle reti in
rame avrebbe un effetto boomerang e rallenterebbe, più che
velocizzare, proprio quel processo di transizione alla fibra, visto
che gli operatori non sarebbero in grado di spingere il roll out
delle nuove infrastrutture.
“L’abbattimento delle tariffe di accesso alle reti in rame non
solo scoraggerà gli investimenti nelle Ngn, a tutto svantaggio dei
consumatori, ma provocherà una distorsione di mercato, sfavorendo
il business degli operatori che stanno portando avanti piani di
investimento per le nuove reti. Insomma, sarà controproducente per
i consumatori e per le aziende”, sottolinea Luigi Gambardella,
chairman dell’Etno.
Secondo le analisi di Ecta invece è necessaria la sforbiciata dei
listini perché ciò costringerebbe le big telco a impegnarsi nei
nuovi investimenti considerata la minore redditività delle reti in
rame. L’associazione rappresentativa degli Olo, nel fissare a
8,55 euro il prezzo medio del canone mensile per l’accesso alle
reti in rame, sostiene inoltre che le tariffe sono modulate sulla
base di criteri ormai non più in linea con le esigenze del mercato
facendo riferimento ad un momento storico in cui le big telco
investivano molto sul miglioramento della qualità delle
infrastrutture per l’erogazione di servizi sempre più
innovativi.
“Se i regolatori optassero per l’abbattimento tariffario ciò
determinerebbe lo switch off dal rame alla fibra incentivando
quindi la migrazione ai nuovi network e consentendo agli utenti di
fruire di servizi di connettività di alta qualità. Il tutto senza
costi aggiuntivi a carico dei consumatori”, spiega il professor
Ingo Vogelsang, uno degli autori dello studio commissionato
dall’Ecta.
Una delle più spinose questioni sul piatto riguarda proprio gli
effetti sul consumatore finale. Il Beuc – associazione dei
consumatori con sede a Bruxelles – si dice preoccupato sulla
possibilità che l’aumento delle tariffe dei canoni di accesso al
rame si riversi sulle bollette dei consumatori. Di qui la richiesta
alla Ue di monitorare la situazione tenendo alta la guardia
soprattutto relativamente a quei Paesi, come Italia e Spagna, in
cui l’aumento è già stato definito. “In Italia e Spagna i
regolatori hanno già deciso l’aumento delle tariffe wholesale. E
ciò potrebbe tradursi in prezzi più alti per i consumatori
finali, senza che ciò corrisponda ad un miglioramento
dell’offerta di servizio. In Spagna in particolare si segnala un
forte squilibrio fra gli aumenti tariffari e la qualità
dell’offerta finale”, sottolinea Monika Stajnarova del
Beuc.
La Ue sa lavorando alla questione e la Raccomandazione attesa per
settembre mira proprio a trovare la soluzione in grado di
rispondere in maniera equilibrata alle esigenze di tutte le parti
in causa.