La recente scudisciata a Google, rilevano gli osservatori, potrebbe aver scritto il primo atto di un giro di vite più ampio lanciato dall’Antitrust Ue sul settore del digitale e delle comunicazioni. Il cambio di marcia impresso da Margrethe Vestager all’azione dell’Authority Ue per la concorrenza rispetto alla linea più cauta del suo predecessore, lo spagnolo Joaquín Almunia, fa correre un brivido tra le fila dell’industria. Non solo: ad un tempo minaccia contraccolpi politici dalle proporzioni non risibili.
Altri due illustri colossi Usa del web sono già nel mirino della Commissione di Bruxelles. La lady di ferro danese non ha fatto mistero di volere mettere il turbo all’indagine che vede tra gli altri coinvolti Amazon e Apple per i controversi accordi fiscali siglati in passato con le autorità di Lussemburgo e Irlanda. Per la piattaforma di Jeff Bezos non si tratterebbe, tuttavia, dell’unica grana. Non più tardi di un mese fa Vestager ha annunciato un’inchiesta sulla concorrenza nel settore dell’e-commerce, con l’obiettivo espresso di accertare quali responsabilità si celano dietro le barriere che ostacolano la vendita online transfrontaliera.
Un altro fascicolo antitrust non meno incandescente sul tavolo della Commissione riguarda gli accordi di lincensing tra gli studios statunitensi e i maggiori fornitori di pay-tv in Europa. E poi c’è la sempre sorvegliatissima arena delle telecomunicazioni. Il commissario alla concorrenza ha esibito sin qui un palpabile scetticismo verso la febbre da consolidamento che attraversa l’Europa. Tre M&A, in Spagna, Regno Unito e Danimarca, sono sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles. E il trattamento ad essi riservato avrà di certo un peso consistente sulla prossime mosse del mercato Ue delle tlc.
Ma andiamo con ordine. Sarebbe ormai agli sgoccioli il primo filone dell’inchiesta della Commissione europea sugli sconti fiscali prodigati da una manciata di paesi comunitari a un’ampia platea di multinazionali, statunitensi e non. Vestager ha di recente confermato che gli esiti dell’istruttoria saranno resi noti entro la fine di giugno. Le premesse lasciano poco spazio all’immaginazione. Gli accertamenti preliminari condotti dalla Commissione sul caso Amazon, e notificati al governo del Lussemburgo già nell’ottobre del 2014, hanno concluso senz’appello che l’accordo di “tax ruling” sottoscritto tra il gigante dell’e-commerce e il Granducato nel novembre del 2003, e tuttora vigente, ha violato la normativa europea sugli aiuti di stato. Si aspettano, pertanto, al varco le prime sanzioni che dovrebbero colpire anche l’Irlanda per via di un’analoga agevolazione concessa ad Apple. Il tutto mentre l’indagine, in particolare nell’ambito dello scandalo Luxleaks, ossia gli oltre 300 accordi stretti in passato tra Lussemburgo e altrettante corporation, promette di allargarsi alle acrobazie fiscali di altri player del settore, in testa Microsoft, Cisco e eBay. Con buona pace del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, all’epoca dei fatti premier e ministro del tesoro del Lussemburgo e la cui posizione rischia di indebolirsi sensibilmente a misura che l’Antitrust macina nuovi indizi e pronunciamenti.
Amazon, si diceva, trema anche per l’avvio di un’indagine sul settore dello shopping online annunciata a fine marzo dalla Vestager per dare man forte alle grandi manovre in corso nel nascente cantiere del mercato unico del digitale. Stando a quanto dichiarato dal commissario danese, “vi sono indizi della possibilità che certe imprese adottino misure che limitano il commercio elettronico transfrontaliero”. Le principali piattaforme d’e-commerce sono avvertite. E a giudicare dalla critica frontale all’indagine di cui si è fatto portavoce il Wall Street Journal, quotidiano che meglio di ogni altro sa tradurre il sentimento dell’industria, s’intuisce che serpeggia nervosismo ai piani alti dei palazzi della Silicon Valley.
Del resto, gli ostacoli transfrontalieri sono anche al centro di un altro dossier aperto già a gennaio 2014. Nel mirino sono finiti gli accordi di licensing tra i grandi “studios” cinematografici statunitensi (Twentieth Century Fox, Warner Bros, Sony Pictures, Nbc Universal, Paramount Pictures) e il gotha delle piattaforme di pay Tv europee: BSkyB in Gran Bretagna, Canal Plus in Francia, Sky Italia, Sky Deutschland e Dts in Spagna. La Commissione sta tentando di appurare se queste intese impediscano alle emittenti Ue di fornire i loro servizi fuori dai confini nazionali, per esempio rifiutando potenziali clienti in altri paesi membri o bloccando l’accesso transfrontaliero ai loro servizi. Anche qui la Vestager dovrebbe dare un colpo di acceleratore, e – sostengono alcuni rumors – non lesinare la mano pesante. Uno scenario che, tuttavia, potrebbe suscitare le vivaci proteste dell’influente settore dell’audiovisivo europeo e di quei governi maggiormente impegnati nel tutelarlo, a cominciare dalla Francia.
Anche le telco, per loro parte, aspettano le prossime mosse della Vestager con il fiato sospeso. L’ondata di M&A che caratterizza da qualche tempo il mercato europeo non sembra scaldare il cuore della responsabile Ue per la concorrenza. Se già Almunia si era mostrato piuttosto intransigente, dando il via libera ad una serie di accordi che hanno ridotto su diversi mercati nazionali il numero delle aziende leader da quattro a tre (in Austria, Irlanda e Germania) ma solo in cambio di condizioni giudicate assai stringenti, il suo successore potrebbe inasprirne la linea. Il consolidamento favorisce gli investimenti in infrastrutture? “A dire il vero – ha detto Vestager al Financial Times in un’intervista molto chiacchierata rilasciata a marzo – ho visto molti esempi che dimostrano il contrario. Finora mi sembra che è sempre la concorrenza il primo fattore che spinge agli investimenti”. Tant’è vero che il mercato principe degli M&A, quello Usa, offre ai consumatori “scarsissima scelta e prezzi molto più alti che in Europa”, ha detto la Verstager. Il che lascia intuire un surplus di rigore, e perfino lo spettro del veto, sui tre accordi che attendono il via libera di Bruxelles: l’acquisto di Jazztel da parte di Orange in Spagna; la fusione tra Telenor e TeliaSonera in Danimarca; e la proposta di Hutchison Whampoa di comprare le attività britanniche di Telefonica. Non proprio un segnale distensione verso gli incumbent europei, che da anni reclamano un alleggerimento dei paletti sulla concorrenza.