Nella relazione dei saggi nominati nell’aprile scorso dal Presidente Napolitano per individuare l’agenda nazionale in materia economico-sociale ed europea, la parola “telecomunicazioni” compare solo una volta, a proposito dei fondi strutturali Ue per l’interconnessione nei settori dei trasporti e dell’energia, oltre che appunto delle tlc.
La parola “rete” compare invece sette volte, ma solo per indicare: la rete del welfare locale e comunitario, la consultabilità in rete dei progetti del governo, la rete delle scuole, la rete ferroviaria, la rete del gas, la rete elettrica. Non si cita la Rete, quella con la “R” maiuscola, quella che ha cambiato la vita e l’economia di tutti i Paesi sviluppati: una lacuna.
Eppure, qualcosa si muove: il piano dell‘Agenda digitale varato dal governo Monti sta andando avanti. Sui 10 miliardi di interventi previsti in due anni, la Consip ha bandito gare per circa 4 miliardi, di cui 2,5 sul “sistema pubblico di connettività”, finalizzato alla banda larga e a servizi tarati sulle esigenze della pubblica amministrazione. Quello che ancora difetta, insomma, è la piena consapevolezza della centralità della Rete per il futuro dell’economia di un Paese avanzato. Bene ha fatto il viceministro allo Sviluppo Economico Antonio Catricalà a ribadire che un aumento del 10% della penetrazione della banda larga comporterebbe un incremento di oltre un punto di Pil. Riconoscere questa centralità alle nuove reti comporta assegnare loro una priorità: tanto più quando mancano le risorse per far tutto. L’uscita dell’Italia dalla procedura europea d’infrazione per eccesso di deficit libera circa 8 miliardi di euro di investimenti infrastrutturali incrementali. Sta arrivando davvero il momento delle scelte. È fondamentale, nell’interesse del Paese e soprattutto dei giovani, che tra esse ci sia finalmente lo sviluppo della Rete.