Telecom Italia resta aperta alla possibilità di consolidamento in Brasile, ma con una serie di garanzie che al momento non sono disponibili, mentre il governo sembra essere l’arbitro di qualunque operazione. L’entrata in scena del miliardario russo Mikhail Fridman, promossa dalla banca di investimento Btg Pactual, esposta con una partecipazione significativa di Oi, ha scosso il mercato ma non sembra aver reso possibile un’integrazione.
Ieri LetterOne, fondo controllato da Fridman, ha detto con una comunicazione ufficiale al mercato che potrebbe investire fino a 4 miliardi di dollari nell’operatore brasiliano di telefonia mobile Oi, se quest’ultimo si fosse integrato con la rivale Tim Partecipacoes (Tim Brasil) del gruppo Telecom Italia.
In un’intervista a Valor Economico l’Ad di Telecom Italia, Marco Patuano, oggi ha risposto che, senza una nuova struttura regolatoria, non se ne fa nulla, aggiungendo che una nuova regolamentazione del settore telecomunicazioni in Brasile potrebbe aprire la strada alla fusione.
La replica del ministro delle Comunicazioni, André Figueiredo, non si è fatta attendere: il governo non intende accelerare il dibattito regolatorio a causa dei possibili negoziati tra Tim-Oi. Quindi al di là della disponibilità più o meno presunta dei singoli attori privati il consolidamento in Brasile è un gioco in cui la politica sembra voler avere l’ultima parola.
Patuano, quando parla di Oi, fa riferimento a possibili ostacoli regolatori, ma Oi porta con sè altri problemi come evidenziano gli analisti. Secondo le stime più recenti Oi ha almeno 15 miliardi di reais (circa 4 miliardi di dollari) di “net contingent liabilities”, cioè esborsi possibili, legati principalmente a contenziosi fiscali con l’esecutivo.
Ci sono poi circa 9 miliardi di reais di “Judicial Deposits”, legati a contenziosi, la maggior parte dei quali sono peraltro collegati a giudizi con i quali hanno a che fare le autorità governative. E questi due elementi non esauriscono il passivo, perchè il debito netto arriva a circa 38 miliardi di reais, pari a circa 5 volte l’Ebitda di gruppo.
La concessione per la telefonia fissa di Oi scade tra meno di 10 anni, nel 2025, ed è probabile che non venga rinnovata, ma che la società debba partecipare a un’asta competitiva, fatto che comporterebbe oneri significativi per l’operatore. Un’eventuale fusione Tim-Oi comporterebbe la necessità di cedere parte degli asset in seguito a richieste dall’autorità antitrust, con una perdita significativa di clienti, rispetto alla somma aritmetica dei due operatori.
In un’operazione del genere sarebbe il Cade (antitrust) l’ostacolo principale, ma è anche necessario che Anatel (autorità per le telecomunicazioni) riconosca che un settore che necessità di forti investimenti ha bisogno di operatori altrettanto forti e quindi un sostegno dalle autorità.