Il 2013 sarà un anno decisivo per il Mobile Payment, ovvero per tutti quei sistemi che, utilizzando lo smartphone come innovativo strumento di pagamento, dovrebbero rivoluzionare la nostra quotidianità. Ne è convinto Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio “NFC&Mobile Payment” del Politecnico di Milano, le cui previsioni indicano che, entro la fine del prossimo anno, ci saranno in Italia circa 7 milioni di smartphone abilitati Nfc e circa 130 mila Pos pronti a sfruttarli. La palla, spiega al Corriere delle Comunicazioni, è ora in mano principalmente a telco e mondo bancario, che, con i loro investimenti, devono favorire lo sviluppo di un’infrastruttura.
Partiamo dallo stato dell’arte ad oggi.
Il mobile proximity payment via NFC è l’ambito meno sviluppato (rispetto al ‘remote’, che già alcuni usano, ndr) ma ha prospettive di incidenza sull’economia ben più significative, aprendo scenari sulle occasioni di spesa quotidiane e quindi sulle abitudini di acquisto. Ad oggi siamo ancora in una situazione in cui si sta costruendo l’infrastruttura abilitante e c’è qualche progetto pilota. Per svilupparsi, il mobile proximity payment richiede sostanzialmente due componenti: device e pos abilitati nfc.
Quali sono i numeri attuali? E che sviluppi vedete?
Dal punto di vista dei cellulari, i nostri dati dicono che a fine anno ci saranno ben oltre 2 milioni di smartphone abilitati ed entro la fine del 2013 arriveremo a circa 7 milioni. D’altra parte la dinamica è chiara: la stragrande maggioranza saranno nativamente Nfc con la grande esclusione, per ora, degli iPhone. Poi servono carte sim abilitate e da questo punto di vista la palla è nelle mani delle telco. Il comunicato congiunto di Telecom Italia, Vodafone, Wind, 3 e Poste mobile (che intendono sviluppare una piattaforma comune di mobile payment, ndr) ci fa essere molto più ottimisti di qualche mese fa: non vedo le sim come un collo di bottiglia, perché le telco si sono impegnate verso l’esterno, avviando un percorso da cui non possono tirarsi indietro, con un investimento che vale fra i 2 e i 3 euro per ogni sim.
Poi ci sono le banche.
Dal lato dei pos il parco attualmente abilitato è fra i 10 e i 50mila, a seconda che si considerino quelli già veramente predisposti e quelli ‘dormienti’, ma che potrebbero essere attivati subito. Con il 2013 si può arrivare a circa 130mila: si partirà dalle grandi catene e ci aspettiamo che questo primo step sia concluso entro l’anno prossimo, visto che la maggior parte di questi gruppi ha già qualcosa in mente. In questo caso, gli investimenti sono di circa 100 euro a Pos, che può essere, almeno in parte, sostenuto dal mondo bancario. Ecco, questa è una leva sostanziale: quanto intenderanno puntare gli istituti di credito per rinnovare il parco pos, considerato che per loro ovviamente si aprono diverse possibilità con un utilizzo maggiore di strumenti alternativi al contante. Da un punto di vista di scenario, poi, in prospettiva, è necessario considerare anche il tema delle microtransazioni puntando sull’abilitazione di quei punti vendita, come edicole e tabaccai, che oggi non lo hanno.
Quanti sono gli investimenti complessivi per costruire l’infrastruttura?
Per il sistema si tratta di qualche decina di milioni: si può arrivare a 70-80, ma di sicuro stiamo sotto i 100, a fronte dei benefici che telco e banche possono poi aspettarsi. Dal punto di vista infrastrutturale il percorso è stato avviato e ci si aspetta una buona dinamica di crescita influenzata da quanto telco e banche decidono di spingere.
In questo momento di crisi, vedete una spinta verso l’investire, per trovare nuovi ricavi, o verso l’evitare nuovi costi?
Personalmente credo che il momento li spinga a investire in questo senso: entrambi i settori hanno margini decrescenti e sono costretti a cercare servizi innovativi, per cui per loro questo è un settore ineludibile. Per di più iniziano a sentire pressione degli over the top che iniziano a offrire servizi di questo tipo, come PayPal e Google. Il caso base, per entrambi i settori, è un peggioramento della loro situazione competitiva se non fanno niente; la minaccia è significativa e non possono trascurarla. Infatti hanno iniziato a parlarsi: il comunicato delle telco di cui abbiamo parlato vuol dire che hanno capito quanto rilevante sia il tema, e anche le banche, sia pur con ancora maggior fatica, stanno iniziando a dialogare e a capire come affrontare il tema non come singoli, ma come gruppo.
Oltre a un’infrastruttura, cosa manca?
Un’offerta commerciale degna di questo nome, circolare, con una capillarità significativa e soprattutto il coinvolgimento concreto e diretto degli esercenti che possono realmente spingere l’utilizzo di questi sistemi, ma solo se capiranno che esiste del valore anche per loro. Da dove partire è un tema delicato: alcune catene della grande distribuzione hanno molte microtransazioni, sotto i 25 euro, come i supermercati. Ci sono poi i fast food e le catene di librerie, dove il valore medio delle transazioni è ancora più basso: qui può essere un progetto gestito dall’alto, con una formazione del personale che è fondamentale. Un’offerta ampia farebbe da volano alla crescita.
Avete realizzato stime sul lungo periodo?
Essendo fortemente legato alla spesa di tutti i giorni, avevamo ipotizzato che si potesse arrivare a transare una decina di miliardi di euro nel 2015. Si tratta di un ordine di grandezza che si confronta con i 120 miliardi di euro di transato con carte da anni sostanzialmente stazionario. Solo con questi numeri si potrà parlare di riattivazione di un percorso di crescita dell’incidenza degli strumenti di pagamento alternativi al contante.