«Mentre Stati Uniti ed Europa elaboravano strategie digitali ambiziose per superare la crisi, l’Italia precipitava in una deriva assolutamente negativa di inconsistenza decisionale e operativa». Stefano Pileri, amministratore delegato di Italtel, ripercorre i mesi difficili del 2010-2011 per inserire in un contesto chiaro il ritardo del nostro paese nell’implementazione delle misure dell’Agenda digitale europea.
Sono passati tre anni dalla presentazione degli obiettivi di Europa 2020. A che punto siamo sul fronte dell’Agenda digitale?
Come Europa su alcuni temi dell’Agenda siamo a buon punto. Penso ad esempio all’e-commerce, dove l’obiettivo del 50% della popolazione che fa acquisti su Internet è alla portata, o alla banda larga per tutti, obiettivo che dovremmo raggiungere già quest’anno. Bruxelles puntava a portare al 75% entro il 2015 la quota di popolazione che usa regolarmente Internet, e siamo già all’81%. Per quanto riguarda la connettività e l’Internet superveloce invece siamo agli inizi: entro il 2020 il 100% delle connessioni deve andare a più di 50 Megabit al secondo, con un 50% oltre i 100 Megabit, ma siamo ancora al 2%.
E l’Italia a che punto è rispetto agli altri stati dell’Unione?
Siamo partiti con un pesante ritardo “politico” e oggi siamo ancora in una posizione abbastanza negativa su tutti gli assi dell’Agenda. Non tanto per quanto riguarda gli obiettivi sulle infrastrutture, che preoccupano più per il futuro che per l’oggi, quanto sulla capacità di sfruttarle. Abbiamo ritardi particolarmente forti nel commercio elettronico, nonostante sia cresciuto molto, e qui paghiamo anche il prezzo di un’economia sommersa che per andare online dovrebbe emergere, e nell’e-government. Da noi la digitalizzazione nei rapporti tra cittadino e Pubblica amministrazione molto spesso si ferma alla disponibilità di moduli online. Dopodiché ci sono esempi di pessime gestioni. Prendiamo la sanità, dove i data center sono 1.020, cioè sono più numerosi degli ospedali, e si trovano spesso in cantine o ambienti indecenti. Dobbiamo tirare fuori da lì un sistema di sanità digitale adeguato. Ci sono eccellenze, ad esempio in Emilia o in Lombardia, ma bisogna elevare il rango da sistemi locali e ripetitivi a sistemi centralizzati.
Da dove partire per accelerare nella nostra strategia digitale?
Non abbiamo più bisogno di riflettere su che cosa sia necessario fare: la direzione di marcia è chiara, dobbiamo semplicemente seguire le indicazioni dell’Agenda europea. Quindi puntare a un mercato digitale unico e all’interoperabilità degli standard, aumentare la sicurezza per le identità digitali, accelerare la banda ultralarga, portare le nostre aziende su Internet, sviluppare l’e-government, investire sulle smart communities e sull’alfabetizzazione digitale.
I fondi attualmente a disposizione per lo sviluppo della banda larga italiana ammontano circa a 700 milioni di euro. Parliamo di cifre adeguate?
Il governo passato è andato a setacciare tutti i fondi e ha trovato queste risorse: 380 milioni per la copertura broadband e altrettanti per il Sud. Sicuramente non sono molti, ma dobbiamo impegnarci per sfruttare al meglio le poche risorse che abbiamo. Mi auguro però che l’approccio esclusivamente finanziario non continui a governare imperterrito: il bene pubblico non può guardare i trimestri, ma i decenni. Non è pensabile che non si consideri l’Agenda digitale un tema fondamentale, una priorità assoluta.