LA CHANCE FONDI UE

Più Stato nel rapporto Caio

Coordinamento delle Regioni, sinergia dei piani, centralizzazione: il dossier banda larga
individua nella centralizzazione la chiave per far recuperare all’Italia il ritardo sull’Agenda digitale. Suggerendo una svolta nel modello seguito finora. Che ha portato a sprechi e lungaggini

Pubblicato il 17 Feb 2014

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Coordinamento delle Regioni, sinergia dei piani, centralizzazione. Alla Presidenza del Consiglio si sta affermando l’idea che l’Italia ha bisogno di queste cose per sviluppare l’Agenda digitale e le reti banda larga grazie alle risorse della nuova programmazione 2014-2020. Qui rientrano i miliardi del fondo strutturale europeo e del fondo Sviluppo e coesione.
La lezione del “rapporto Caio” è in fondo proprio questa: che serve una strategia centrale per far recuperare all’Italia il ritardo sull’Agenda digitale. Sulle reti banda ultra larga e non solo: siamo messi male in quasi tutti 40 obiettivi indicati dall’Agenda digitale europea per il 2020. Negli stessi giorni in cui Francesco Caio, responsabile dell’Agenda presso la Presidenza del Consiglio, consegna il suo rapporto, arriva il tanto atteso Statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale. Statuto e rapporto contengono lo stesso spirito, che spinge verso una centralizzazione (e sistematizzazione) dell’impegno sul digitale.

Lo Statuto infatti pone l’Agenzia alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio, come fortemente voluto dal premier Enrico Letta, che fin dall’inizio ha espresso la volontà di accentrare la governance sui temi del digitale. Il nuovo Statuto risente di questo spirito di accentramento e allo stesso tempo lo favorirà. Dà infatti all’Agenzia la facoltà di operare, a pieno regime, per procedere verso un coordinamento dei piani regionali sull’Agenda digitale, come confermato dal suo direttore Agostino Ragosa al nostro giornale.

Una svolta verso una centralizzazione o almeno un miglior coordinamento dell’impegno sul digitale è ormai indicata come urgente da molti addetti ai lavori. È un’esigenza avvertita in molti punti del rapporto Caio. Per esempio, quando descrive i piani banda ultra larga degli operatori, Caio nota che tutti mirano a coprire la stessa percentuale di case, cioè quelle più potenzialmente profittevoli. Di conseguenza, il rapporto consiglia di sviluppare sinergie (ergo di coordinare gli sforzi) quanto più possibile, per ottimizzare gli investimenti. E suggerisce che le norme possono avere un ruolo importante in questo senso. L’idea che lo Stato debba assumere questo ruolo centrale di promotore del digitale è rinvenibile anche in aspetti meno evidenti, nel rapporto. Per esempio quando si suggerisce di liberare in fretta alcune frequenze radiomobili per lo sviluppo del 4G. Ma Caio concentra questo spirito soprattutto in un consiglio complessivo: di creare un piano nazionale per l’utilizzo dei fondi 2014-2020.

Significherebbe cambiare il modello seguito finora, quello con tanti piani regionali poco (o per nulla) coordinati dallo Stato centrale. Modello che secondo molti tecnici, nel ministero allo Sviluppo economico, finora ha portato a sprechi e lungaggini burocratiche. Per esempio lo riferiscono da Infratel per quanto riguarda le gare per la banda larga (si veda l’intervista al direttore generale Salvatore Lombardo, in basso pagina). Al momento non si sa se ci sarà questo piano nazionale, ma sembra più forte l’orientamento a conservare l’attuale modello. Perlomeno però ci sarà un forte coordinamento centrale (come mai avvenuto prima) dei piani regionali. Sono le stesse Regioni a chiederlo e sarà l’Agenzia ad avere questo ruolo.

Il coordinamento è propedeutico a sviluppare in modo organico i progetti dell’Agenda, sul territorio. A ridurre ritardi e inefficienze. Ma prima ancora servirà per concentrare quante più risorse possibile, dai fondi Ue, sui temi del digitale. L’Agenzia sta infatti lavorando con le Regioni perché molti capitoli (dalla Sanità alla logistica), nei loro piani, siano connotati come Agenda digitale. Obiettivo è raccogliere almeno 10 miliardi di euro (l’Agenzia auspica fino a 15), dalla prossima programmazione, per sviluppare grandi progetti infrastrutturali. Come la banda ultra larga in quel 50% circa di popolazione non interessato dai piani degli operatori e i datacenter nazionali. Oppure per realizzare il nuovo sistema pubblico di connettività e le piattaforme cloud, temi su cui sono già in corso bandi di gara. Servono soldi per aiutare il territorio a passare all’Anagrafe unica, al Fascicolo sanitario elettronico e altre novità dell’Agenda. Ma anche per portare avanti cybersecurity, formazione digitale, open data.

Tutte cose per cui sono necessarie risorse. Tutti d’accordo che l’unico treno disponibile, per l’Italia che voglia convertirsi al digitale, sono i fondi 2014-2020. Per non perderlo è necessario un coordinamento e una centralizzazione del lavoro come mai fatto prima, nel nostro Paese. Gli addetti ai lavori dell’Agenda ne sono convinti e stanno marciando in questa direzione, confidando che le amministrazioni locali e il Governo collaborino alla partita.

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