FREQUENZE

Più Tlc meno Tv nell’etere italiano

Cancellato il beauty contest, le nuove norme ridisegnano le basi per la gestione dello spettro radio. Prevista per la prima volta un’asta
economica per frequenze a uso televisivo

Pubblicato il 23 Apr 2012

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È bastato un emendamento lungo una paginetta per provocare il Big Bang della Tv italiana e segnare il passaggio alla nuova era della TV digitale 2.0. La norma elaborata dagli uffici del ministro Passera (ma solo il tempo o la Storia forse ci riveleranno quali menti e king maker hanno in questi mesi tessuto la trama di questo innovativo intervento legislativo) contiene una vera rivoluzione di politica industriale per l’ingessato sistema televisivo italiano.
L’intervento del Governo, oltre ad abolire il beauty contest elaborato dal precedente governo Berlusconi, ha l’obiettivo di efficientare e valorizzare economicamente l’uso dello spettro radio italiano attraverso tre linee guida: un’asta economica competitiva riservata agli operatori di rete, assicurando la separazione verticale tra fornitori di contenuti e operatori di rete; l’introduzione dello standard trasmissivo Dvb T2 e la codifica Mpeg 4; ed infine ridefinendo i contributi economici per l’utilizzo delle frequenze da parte degli stessi operatori di rete.
Il combinato disposto di questi tre elementi, a cui l’Agcom dovrà dare attuazione adottando i regolamenti e le necessarie procedure, può segnare un cambio di paradigma per il mondo televisivo italiano. Non sarà un percorso facile ma la strada indicata può portare a delle novità difficilmente immaginabili finora. Per la prima volta si assisterà ad una asta economica per frequenze ad uso televisivo riservata ad operatori di rete “puri” che in Italia, oggi, non esistono. Il modello italiano , a differenza di altri paesi europei, è fatto di gruppi verticalmente integrati che producono contenuti e gestiscono le reti di trasmissione.


Seguire questa strada può significare o aprire le porte ai grandi operatori di rete stranieri, EDF, Abertis o Arqiva, oppure realizzare ciò che fu solo timidamente tentato nel secondo Governo Prodi, ovvero, la nascita di un operatore di rete unico nazionale. La scelta tutta italiana, adottata nel 2008 con l’inizio del passaggio alla televisione digitale terrestre, di trasformare tutte le emittenti televisive, nazionali e locali, in operatori di rete, oggi mostra tutte le sue debolezze.
Troppa capacità trasmissiva ad uso televisivo, con la maggioranza dei mux vuoti e con pochi operatori che riescono ad affittare banda e che, molto spesso, difficilmente riescono a farsi onorare i pagamenti dai fornitori di contenuti. Inoltre un’asta “ a tempo” che già prevede, a breve, la prossima destinazione delle frequenze per usi non televisivi, per soddisfare la “fame” di banda degli operatori telefonici per i servizi a larga banda mobile.


Solo un operatore di rete “puro”, che non fa distinzione tra uso televisivo e non della banda, potrebbe affrontare un’asta così “atipica”. Ma se è ormai evidente che la coperta frequenziale a disposizione delle tv sarà sempre più corta, l’introduzione del nuovo standard trasmissivo T2 offre , insieme alla codifica di sorgente Mpeg4 ed alla sua evoluzione l’HEVC che arriverà non prima del 2013, una eccezionale capacità moltiplicatrice nell’utilizzo dei Mux. Potendo così soddisfare l’esigenza delle Tv di offrire contenuti in alta definizione e 3D, che richiedono un utilizzo doppio e triplo rispetto agli attuali canali in standard definition.


La data prevista del 2015 per l’introduzione obbligatoria del T2 nei decoder e televisori , tenendo conto del ricambio fisiologico di circa 4 milioni di televisori venduti in media ogni anno in Italia, lascia presagire un nuovo Switch off della televisione digitale terrestre italiana per la fine del decennio. Infine, la ridefinizione dei contributi economici pagati dagli operatori di rete per l’utilizzo delle frequenze televisive a partire dal gennaio 2013. Non è fantapolitica immaginare come questa leva possa essere utilizzata per ridefinire il sovraffollato mondo dell’emittenza televisiva locale, con la sua pletora di oltre 600 emittenti che oggi pagano poche migliaia di euro per l’utilizzo delle frequenze. In un settore dove sono meno di cento le tv locali che superano la soglia di un milione di euro di fatturato annuo. Ecco perché, dopo che nei prossimi giorni la nebbia della polemica politica inizierà a diradarsi, potremmo iniziare a vedere il disegno riformatore che il Governo dei Tecnici ha intrapreso anche nei confronti del moloch televisivo italiano.

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