TELECOM-3 ITALIA

Pontarollo: “Il merger con 3 un’opportunità per Telecom”

L’economista: “L’ipotesi di far entrare un socio che apporti risorse così da tornare alla crescita è l’unica strada percorribile, dunque ben venga l’offerta di Li Ka-Shing e chi la sostiene. L’alternativa sarebbe un pool di investitori italiani: ma al momento nessuno si è fatto avanti”

Pubblicato il 22 Apr 2013

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«L’offerta di Li Ka-Shing va presa in seria considerazione. Per Telecom Italia è un’opportunità che potrebbe non ripresentarsi». Enzo Pontarollo, docente di Economia Industriale all’Università Cattolica vede di buon grado l’ipotesi di merger fra l’azienda presieduta da Franco Bernabè e 3 Italia, la costola tricolore del colosso Hutchison Whampoa.
Pontarollo, crede sia un bene per Telecom Italia finire in mani cinesi? Non sarebbe meglio garantire l’italianità?
L’italianità è un concetto che non esiste in un contesto globalizzato. E peraltro Telecom Italia non è italiana da diversi anni. L’entrata in scena degli spagnoli di Telefonica è stato l’ultimo atto di un disegno sciagurato che dalla metà degli anni Novanta ha determinato il tracollo di quella che era considerata un’eccellenza mondiale delle telecomunicazioni. L’italianità, semmai, andava garantita a suo tempo: non bisogna mai dimenticare che i problemi di Telecom Italia sono nati dalla privatizzazione di Colaninno. E a seguire la gestione Tronchetti Provera ha definitivamente “svuotato” l’azienda. La discesa in campo degli spagnoli era stata considerata una opportunità di rilancio. Ma così non è andata. Certo, c’è stata la crisi e il titolo si è progressivamente svalutato. E vero è che per salvare Telecom Italia dall’enorme mole del debito ci vorrebbe un miracolo. Ma Telefonica è un competitor diretto di Telecom Italia, in Europa e soprattutto in Sud America. Si è preferito il socio spagnolo a Carlos Slim – a suo tempo era interessato a investire in Telecom – per paura di un conflitto di interessi. Ma il risultato, di fatto, è stato analogo. E Telefonica non ha alcun interesse, soprattutto ad oggi, a far crescere Telecom. Dunque ben venga l’offerta di Li Ka Shing. E ben venga chi la appoggia. L’alternativa sarebbe un investitore o un pool di investitori italiani. Così si garantirebbe l’italianità, se proprio si deve garantire. Ma dove sono questi investitori? Per ora nessuno si è fatto avanti.
Il presidente Franco Bernabè sta evidentemente cercando una “soluzione”, qualcuno dice anche per conservare la sua poltrona. Cosa ne pensa?
Dopo la stagione Tronchetti Provera, Franco Bernabè si è trovato nelle mani una patata bollente. E nonostante l’enorme difficoltà in cui versava, e versa ancora l’azienda, è riuscito a far scendere di parecchio il debito. Poi per il resto aveva le mani abbastanza legate: cosa avrebbe potuto fare? Investire? Con quali risorse? L’ipotesi di far entrare in Telecom Italia un socio in grado di apportare risorse, di dare fiato all’azienda e anche, in prospettiva, di tornare alla crescita è non solo sensata ma anche l’unica strada percorribile.
Crede davvero che i cinesi possano apportare “valore” in Telecom Italia?
Per Li Ka Shing l’ingresso in Telecom Italia significherebbe la possibilità di andare a “esplorare” mercati quali Sud America e Africa, quindi di allargare parecchio il fronte del business. Trattandosi di un manager con ampie disponibilità finanziarie per Telecom Italia ciò significherebbe senz’altro la “garanzia” di un socio forte, un socio industriale e finanziario in un sol colpo. Non bisogna sottovalutare il fatto che per anni sono state iniettate risorse in 3 Italia, un’azienda che non ha mai guadagnato e che rispetto ai tre competitor sul mercato ha avuto sempre una quota di mercato marginale. Se Li Ka Shing ha sostenuto 3 Italia sicuramente avrà l’interesse a sostenere Telecom, un’azienda che sul fronte mobile vale molto di più in termini di fatturato, clienti e mercati.
Dunque meglio un cinese che uno spagnolo?
Meglio un non concorrente.
Però almeno lo scorporo della rete va fatto, o no?
Sono da sempre favorevole allo scorporo della rete, indipendentemente dall’ingresso del socio cinese o egiziano che sia. È necessario garantire pari condizioni di accesso a tutti gli operatori; si può optare per il modello britannico, ossia Open Reach, e quindi non per uno scorporo totale. Ma qualsiasi sia il modello l’importante è garantire la competizione ad armi pari.
E la questione sicurezza?
La sicurezza della rete non dipende dai cinesi.
Ma negli Usa Huawei sta avendo grossi problemi in tal senso.
Negli Usa c’è un governo forte. Ed è il governo a fare da garante per i cittadini. E poi non si può paragonare la questione della sicurezza di un Paese come gli Stati Uniti a quella dell’Italia. Non per sminuire il ruolo del nostro Paese ma insomma è ridicolo fare questo paragone. E peraltro non si dimentichi il “caso” security che ha coinvolto proprio Telecom Italia, quando ancora l’azienda era tutta italiana. A dimostrazione che italianità non fa rima con sicurezza. Insomma, mi sembra che la questione sicurezza non sia così determinante.

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