Poste Italiane ha 180 giorni di tempo per applicare l’Iva nei servizi postali liberalizzati e cessare l’abuso di posizione dominante con cui sono stati discriminati i concorrenti. Lo ha deciso l‘Antitrust dopo l’istruttoria avviata nel 2012. L’Autorità ha stabilito che Poste, non applicando l’imposta, ha abusato della propria posizione dominante in violazione della normativa comunitaria, ma non ha imposto sanzioni poiché l’esenzione Iva è prevista da una normativa nazionale, contrastante con la normativa comunitaria.
La decisione dell’Antitrust è stata presa nella riunione del 27 marzo 2013 e riguarda i servizi che, pur rientrando nel servizio universale, vengono negoziati individualmente. Rientrano nei servizi postali del servizio universale, non in riserva, e quindi teoricamente erogabili anche da soggetti diversi da Poste Italiane ai quali la società concessionaria dovrà applicare l’Iva, la posta massiva, la posta raccomandata, la posta assicurata, la pubblicità diretta per corrispondenza (posta target). Si tratta di servizi negoziati individualmente da Poste con prezzi differenziati in funzione dei volumi di corrispondenza, della tempistica ma anche di offerte congiunte. In ciascuno di questi settori Poste è operatore dominante e può sfruttare le sinergie offerte dall’utilizzazione di un’unica rete integrata.
Non applicando l’Iva, la società ha quindi abusato della propria posizione dominate in violazione della normativa comunitaria: tale condotta ha infatti consentito a Poste di formulare offerte idonee a escludere i concorrenti dai mercati interessati che non hanno potuto replicare offerte competitive visto che l’aliquota applicabile è quella attualmente al 21 per cento. In linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, sottolinea la nota, l’Autorità non ha tuttavia imposto sanzioni a Poste poiché l’esenzione Iva è prevista da una normativa nazionale, contrastante con la normativa comunitaria. La legge italiana dispone infatti che sono esenti dall’Iva “le prestazioni del servizio postale universale, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a queste accessorie, effettuate dai soggetti obbligati ad assicurarne l’esecuzione”.
La normativa comunitaria prevede invece che l’esenzione riguardi le operazioni “effettuate dai servizi pubblici postali, le prestazioni di servizi e le cessioni di beni accessori a dette prestazioni”. La sentenza della Corte di Giustizia del 23 aprile 2009 ha poi precisato che “l’esenzione non può essere applicata ai servizi specifici, scindibili dal servizio di interesse pubblico, tra i quali figurano servizi rispondenti ad esigenze specifiche di operatori economici” e che “l’esenzione non si applica alle prestazioni di servizi né alle cessioni di beni accessori a dette prestazioni le cui condizioni siano state negoziate individualmente”.
La condotta di Poste, secondo l’Antitrust, è stata dunque giustificata da una norma nazionale imperativa che prevede l’esenzione per le prestazioni del servizio universale fornite da Poste, senza escludere i servizi le cui condizioni siano state negoziate individualmente. Tale normativa contrasta però con il quadro comunitario e con l’art. 102 del Trattato che vieta l’abuso di posizione dominante. L’Antitrust ha quindi disapplicato la legge italiana per accertare l’abuso e imporre a Poste la sua cessazione. La Corte di Giustizia con sentenza del 9 settembre 2003 ha stabilito che, in presenza di comportamenti d’imprese in contrasto con il divieto di abuso di posizione dominante, imposti o favoriti da una normativa nazionale che ne legittima o rafforza gli effetti, l’Autorità nazionale preposta alla tutela della concorrenza ha l’obbligo di disapplicare tale normativa nazionale, al fine di consentire l’accertamento di una violazione antitrust. Il dovere di disapplicare una normativa italiana in contrasto con la disciplina europea da parte delle Istituzioni di uno Stato membro, ricorda l’Antitrust, è stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa italiana.