Se si guarda il mondo dal punto di vista della storia, quel che è successo pochi giorni fa, un operatore postale che ha preso il controllo di un operatore telefonico, non è niente di nuovo. Anzi, è un ritorno alle origini, anche se con una maggioranza relativa. Un po’ ovunque la telefonia è nata come una costola del servizio telegrafico che era controllato dal servizio postale. Nel Regno Unito, ad esempio, British Telecom ha lasciato il Post Office soltanto nel 1981 per poi essere privatizzata. In Italia le cose andarono un po’ diversamente, ma a causa delle peculiarità del nostro Paese.
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Poste-Tim, i giudizi sull’operazione
Se si guarda, invece, il mondo con gli occhi della cronaca degli ultimi trenta anni, la scelta di Poste Italiane di prendere la maggioranza relativa di Tim è una grande novità. È terra incognita, non lo aveva mai “ri-fatto” nessuno. Il che in sé non è né un bene né un male. Ma occorre esserne ben consapevoli per non indulgere a facili conclusioni.
Infatti, i giudizi semplificatori non sono mancati. In particolare, qualcuno l’ha letta come una ri-nazionalizzazione fatta per compiacere un Governo che vuole difendere i propri campioni nazionali. E sicuramente il Governo non si può essere dispiaciuto di questa mossa di Poste. Ma dire che è “soltanto” una decisione compiacente implica che sia una mossa che non abbia senso per Poste ma solo per la politica industriale di Palazzo Chigi.
Tuttavia, dall’annuncio dell’operazione fino alla crisi dei dazi americani, il titolo di Poste ha guadagnato ben il 14% in Borsa in appena un mese e mezzo. Un chiaro giudizio di approvazione in sé. Inoltre, sin dall’inizio della sua quotazione, tra i principali rischi di Poste valutati dal mercato azionario c’è sempre stato quello delle possibili ingerenze governative. È il primo specolo con cui tutte le scelte dell’azienda sono ogni volta state analizzate. Nonostante ciò, gli analisti di Borsa, né in passato né nel caso di Tim, hanno avanzato alcun dubbio sulla natura strategica dell’operazione.
Poste-Tim, cosa succederà in futuro?
Quindi, tutto ciò premesso, tornando a chiederci cosa succederà nel futuro di questa operazione, ci sono diverse sinergie e tre opzioni strategiche.
Per analizzare le possibili sinergie, occorre però capire bene cosa fa Poste che, a dispetto del nome, ha un business model ben più complesso, organizzato intorno a quattro divisioni:
1) servizi postali, consegna pacchi e distribuzione;
2) pagamenti, comunicazioni fisse e mobili, servizi digitali (Servizi Postepay);
3) servizi finanziari;
4) servizi assicurativi.
Nei servizi postali e nella consegna pacchi è leader in Italia, come nei pagamenti; è il quinto operatore telefonico per numero di clienti; nei servizi finanziari è un operatore di primo piano e nei servizi assicurativi nel 2022 (ultimo dato disponibile) era leader in Italia per premi. A questo va aggiunto che Poste è la più ampia e capillare rete phygital italiana con circa 13mila uffici è a 5 minuti di distanza dal 95% della popolazione italiana e ha 25 milioni di interazioni digitali al giorno; ha 46 milioni di clienti (famiglie, aziende e clienti del settore pubblico); è il maggiore provider in Italia di identità digitali (Spid), il maggiore distributore di certificati e, da poco, di passaporti; grazie al Progetto Polis, da quest’anno è la più grande rete nazionale di co-working e, anche, da ben sei anni, uno dei “Top Employer” italiani. Infine, Poste ha chiuso il 2024 con risultati record, raggiungendo in anticipo di un anno gli obiettivi dichiarati al mercato con ricavi totali a 12,58 miliardi, un risultato operativo di 2,96 miliardi e un utile netto di 2,01 miliardi, con tutte le sue divisioni in utile.
Poste-Tim, quali sinergie possibili?
Partendo da questi elementi di fatto, è facile capire come le possibili sinergie tra Poste e Tim siano potenzialmente elevate e di natura industriale, come ha voluto puntualizzare Matteo Del Fante, ceo di Poste. Nel breve termine, ci potrebbero essere quelle prodotte dalla migrazione del contratto di PosteMobile come operatore telefonico virtuale dalla rete Vodafone a quella di Tim, stimate in un incremento dell’ebitda di Tim di circa 200 milioni di euro. Ma, secondo Intermonte, le sinergie dall’utilizzo della rete di uffici postali di Poste potrebbero essere molto più significative, con risparmi di costo di 200-300 milioni di euro, oltre a un beneficio complessivo del 20-24% dell’ebitda in Italia di Tim e del 10-12% di quello di gruppo. A questo dato occorre però aggiungere una nota.
Gli uffici di Poste non sono soltanto delle presenze capillari sul territorio, che pure hanno un enorme valore data l’elevata dispersione della popolazione italiana sul territorio. Sono dei terminali intelligenti su cui Poste ha fatto anni di investimento in formazione per l’upskilling del suo personale e che potrebbero intervenire nello stitico mercato digitale italiano in modo molto funzionale.
Il ruolo della fiducia
Queste sinergie, inoltre, non tengono conto di un altro elemento invece molto più importante nel medio termine: la fiducia. Come una ricerca di Swg di fine 2024 evidenziava, per il 29,2% degli italiani la priorità nella scelta dell’operatore mobile è data da fiducia, correttezza e trasparenza. Se a questa si aggiunge anche l’affidabilità, si arriva al 56%. Poche aziende in Italia godono di maggiore “trust” di Poste, anche perché gestisce circa mezzo triliardo di risparmio nazionale. Al contrario, gli operatori telefonici, anche per alcuni errori fatti nel passato, non nutrono lo stesso livello di considerazione. Quindi, questo “alone” positivo potrebbe facilmente trasferirsi verso Tim, creando enormi ricadute di mercato.
Le opzioni strategiche
Questo punto apre le considerazioni relative alle opzioni strategiche di questo accordo.
L’accordo con Iliad
La prima è la più facile da immaginare, un accordo con Iliad. È anche quella che la maggior parte degli analisti hanno intravisto nelle parole di Matteo Del Fante quando, commentando l’acquisizione della partecipazione in Tim, ha tenuto a specificare che Poste è “a supporto del processo di consolidamento nelle Tlc”. Secondo Banca Akros, potrebbe creare sinergie per 680 milioni di euro, una cifra notevole. Ma, soprattutto, portando a 3 gli operatori telefonici, potrebbe risolvere il problema cronico italiano della competizione di prezzo.
Come spiegato da un articolo di Giuliano Balestreri su La Stampa, l’accordo potrebbe avere la forma di un conferimento del business italiano di Iliad, l’operatore che ha registrato la più alta crescita netta di clienti nel 2024, creando una società a controllo di Poste ma con una forte quota in mano all’operatore francese. Le difficoltà, però, non sarebbero poche.
Innanzitutto, pare sfumata la modifica del Tuf, con il rialzo della soglia di Opa, che avrebbe molto agevolato questa opzione. Inoltre, non sarebbe facile da definire la governance di una società con due azionisti forti e con focalizzazione industriale, non finanziaria. Infine, i rimedi antitrust, pressoché certi, potrebbero creare così tante incognite a un accordo che molti attendono come una manna dal cielo, da renderlo impraticabile.
L’accordo WindTre-Iliad
Se non si realizzasse la prima opzione, però, c’è un’altra via verso il consolidamento che si potrebbe aprire, ma senza passare per Tim. Come riferito da Reuters, CK Hutchison, che controlla l’italiana WindTre, ha derubricato gli investimenti in Tlc europei a “non strategici” e pare voglia quotarli entro la fine dell’anno. Questi valgono un fatturato di circa 10 miliardi di euro di cui la società guidata da Gianluca Corti e Benoit Hanssen è circa un terzo. Iliad, che con WindTre condivide la joint venture Zefiro Net sulla rete mobile, aveva posto un veto all’accordo saltato tra WindTre e la svedese Eqt. Quindi, un accordo tra WindTre e Iliad non solo lo sbloccherebbe ma potrebbe rinverdire un’ipotesi di matrimonio, già tentata in passato ma mai riuscita per mancanza di un accordo sul prezzo.
La svolta di Tim
Infine, c’è una terza opzione, in ultima analisi non alternativa alle altre due: imprimere una svolta sostanziale a Tim e posizionarla con un’offerta di qualità. Se si torna alla ricerca di Swg citata sopra, questa riporta che oltre il 40% dei consumatori italiani sarebbe disposto a pagare di più a fronte di un miglioramento del servizio. Il che al momento vuol dire sia che c’è spazio per un’offerta di “qualità” sia che non si percepiscono con chiarezza differenze di qualità nelle offerte attuali. In uno scenario di consolidamento, il riposizionamento delle offerte avverrebbe in modo naturale. Questo avrebbe, da una parte, un leader con il prezzo più basso, che potrebbe essere, come ora, Iliad o la risultante delle sue fusioni e, dalla parte opposta, un leader di qualità con un’Arpu più alta. Quindi, in mezzo rimarrebbe intrappolato nella posizione più scomoda chi dei tre player post-consolidamento non riuscisse a posizionarsi chiaramente a uno dei due estremi.
Qualunque italiano che creda nel valore strategico delle telecomunicazioni vedrebbe quest’ultimo scenario come un riscatto di Tim da decenni di mortificazioni dovute a scelte dettate soprattutto da logiche finanziarie. Ma è soltanto un auspicio.
Poste-Tim, passo strategico
Comunque vada, se l’operazione Poste-Tim è un importante passo strategico, è anche un’opportunità concreta di rilancio industriale, che potrà generare importanti ritorni economici e consolidare il mercato nazionale delle telecomunicazioni.
Se poi saprà restituire a Tim un ruolo da protagonista innovativo nel panorama italiano ed europeo, allora sarà un capolavoro. È una sfida impegnativa, certo, ma allo stesso tempo è una prospettiva affascinante e promettente in un momento storico in cui l’Italia ha più che mai bisogno di aziende solide, competitive e in grado di guardare al futuro con ambizione e senso responsabilità.